L’Usppi sanità scende in campo contro la desertificazione del Punto di Primo Intervento di Bitonto. Ad agosto, complice il trasferimento di tre autisti di ambulanza all’Ospedale Di Venere di Bari non è assicurata la continuità assistenziale 24 su 24. Il 18 di agosto, poi, tra ferie e riposi non ci sarà neppure un autista in servizio. Ciò che sta succedendo a Bitonto è l’emblema della sanità a mezzo servizio a cui ormai si stanno purtroppo abituando i cittadini. Togli da una parte, per tenere a bada le ire di chi è arrivato ormai all’esasperazione, e metti da un’altra parte, dove puoi prendere qualche giorno prima di dover arginare il malcontento. Il sindacato minaccia di rivolgersi alle autorità competenti se la Asl non provvede a revocare il trasferimento degli autisti. Immaginiamo che le autorità competenti a cui si fa riferimento sia la magistratura. I giudici ormai sono invasi da denunce, esposti più o meno anonimi, fascicoli d’inchiesta in materia di sanità malata. Il “fax urgentissimo” sulla vicenda di Bitonto inviato dall’Usppi alla direzione generale della Asl di Bari è del 31 luglio. La risposta, come spesso succede, dopo quattro giorni non è arrivata. Inanto il tempo passa. Si prende tempo con la speranza che tutto si risolva come per magia, oppure che pazienti e operatori vengano sopraffatti dalla fase terminale della rassegnazione, quella dei kitemmorti senza ritorno. Il problema è serio, soprattutto in un Punto di Primo Intervento particolarmente indaffarato a causa dei tanti accessi, non solo da Bitonto. La gente è convinta che quello sia il pronto soccorso. Giovedì scorso è nato un bambino. Noi siamo fra quelli che non si rassegnano. Lo svuotamento degli autisti dall’ex ospedale bitontino finisce col gravare sul 118. Aumetano le chiamate per il trasporto di pazienti dal Punto di Primo Intervento in altri ospedali, ma in questo modo viene scoperto ulteriormente il territorio del servizio di emergenza-urgenza. Speriamo in un intervento logico, dettato dal buon senso, prima di mettere l’ennesimo fascicolo contro la sanità malata sulla scrivania, già affollatissima, di un giudice.