In principio furono le associazioni di volontariato che gestiscono il 118, poi la Asl, la Fondazione Petruzzelli, Telenorba e il Porto di Bari. Ora tocca alla Croce Rossa. Da qualche giorno è partita la caccia all’infame. Un’indagine amministrativa a tutto campo per scoprire l’identità del corvo, della gola profonda che s’è fatto venire un sussulto di dignità. E se il tentativo fallisce si parte con una querela specifica contro il giornalaio di turno, che scrive per un’inutile giornaletto online senza alcun valore e autorevolezza. Si chiama querela di distrazione di massa. Senza gli strumenti e le informazioni necessarie, all’opinione pubblica viene chiesto di appiccicare l’etichetta di Gesù o di Barabba.

Il tentativo di screditare la credibilità di chi scrive, negando l’evidenza, arrivando a sostenere che immagini e interviste siano state taroccate. Seppur invitati a raccontare la propria versione, a confutare ciò che scriviamo, i vertici della Croce Rossa Italiana di Bari – gli ultimi in ordine cronologico, ma è successo in tutti i filoni aperti in questi ultimi due anni – tacciono e mettono in piedi la solita, stantìa e inutile politica della minaccia al più debole (il sottoposto, il precario, il volontario, il collaboratore). A distanza, poi, si inveisce contro l’autore dell’inchiesta. Lo si fa riferendo al presunto infame notizie che possano portare allo sgamo. Ma ci faccia il piacere.

Tra le mure amiche – magari adesso un po’ meno amiche – gonfiano il petto e fanno la voce grossa. Se provi a intervistarli, invece, vanno in scena i soliti “Con voi non parlo”, “No comment”, “Chiariremo nelle sedi competenti”. Il blitz è l’unica soluzione per vederli arrossire e metterli in imbarazzo, per dimostrare che non è come la raccontano loro, nonostante le minacce e le querele.

Chi ha passato i documenti a quelle “merde” de ilquotidianoitaliano.it? E allora si passano al setaccio i computer, si cominciano a mettere in piedi teorie bizzare, escludendo dalla lista dei papabili infami gli insospettabili, che poi sono i più infami di tutti. Da che inchiesta e inchiesta, che poi è come dire da che mondo e mondo, individuare “il cantante” non migliora di una virgola la situazione.

I problemi restano intatti, nella maggior parte dei casi peggiorano, perché l’accanimento contro gli scontenti e i chiacchieroni sottrae energie e lucidità. Il casino da risolvere passa in secondo, persino in terzo o quarto piano. Ciò che è recuperabile si trasforma in una catena di errori su errori. Quando si crede di essere nel giusto, non si hanno doppi fini e si è in buona fede, il giornalista è capace di trasformare un’inchiesta per il bene della comunità in un fatto personale e, una volta arrivato in fondo, incomincia di nuovo a scavare. Tutti possono sbagliare, è capitato a chiunque, anche a noi. Figuriamoci. La differenza la fa l’ammissione e la voglia di riparare, non con le messe della domenica, ma con il cambiamento.