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Decerebrati, ruba stipendio e via così. Sono alcune delle offese pubblicate da un 40enne di Monopoli sui social network e indirizzate al Corpo di Polizia Locale, accusati perfino di “non scattare nemmeno più le foto”, ma di prendere solo nota delle targhe per poi compilare successivamente i verbali.

Per sua sfortuna, non sono passate inosservate, tanto che l’uomo, tale C.D., è stato denunciato a piede libero per il reato di diffamazione ai sensi dell’art. 595 commi 3 c.p. e 4 c.p., commi che puniscono con pene più severe la diffamazione aggravata, che si effettua quando l’offesa dell’altrui reputazione si realizza con un mezzo di pubblicità, quali per appunto i social, nei confronti di un soggetto che riveste una funzione amministrativa, come nel caso in questione.

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30737/2019 afferma che «la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., sotto il profilo dell’offesa arrecata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone e tuttavia non può dirsi posta in essere col mezzo della stampa, non essendo i social network destinati ad un’attività di informazione professionale diretta al pubblico».

“I leoni da tastiera – ha dichiarato il Comandante la Polizia Locale di Monopoli, Michele Cassano – rappresentano la nuova frontiera della cattiveria gratuita. La maldicenza è una pratica purtroppo abusata che al tempo dei social ha ampliato i suoi effetti: da Rossini, che nel Barbiere di Siviglia definisce la calunnia un venticello, un’arietta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurrar, siamo passati all’offesa sui social che in maniera istantanea raggiunge una moltitudine di persone, con danni enormi all’immagine di chi ne è colpito”.