Nel pomeriggio di oggi, nell’Aula Bunker del carcere di Trani, è stata data lettura del dispositivo di Sentenza Pandora con cui il GIP del Tribunale di Bari, Rosanna DE CRISTOFARO, ha condannato 90 dei 91 imputati, precisamente:
-51 imputati, perché riconosciuti appartenenti all’associazione mafiosa denominata “clan Mercante/Diomede”;
-36 imputati, perché riconosciuti appartenenti all’associazione mafiosa denominata “clan Capriati”;
-2 imputati, condannati per aver preso parte, nel tempo, ad entrambe le consorterie mafiose;
-1 imputato, per rapina aggravata e sequestro di persona,

Oltre 700 gli anni di carcere, con pene che vanno da un minimo di 4 anni e 6 mesi ad un massimo di 11 anni e 4 mesi per l’imputato Nicola Diomede, riconosciuto come uno dei capi organizzatori. L’indagine diretta dalla DDA di Bari e condotta dal ROS ha dimostrato che entrambi i sodalizi erano caratterizzati:
-da una struttura gerarchizzata in cui delineati i ruoli e i compiti degli affiliati;
-dall’imposizione di rigide regole interne e del connesso rispetto delle gerarchie;
-dal controllo militare del territorio – coincidente totalmente o parzialmente con quello dei quartieri del centro abitato di Bari in cui promosse le attività illecite;
-dall’operatività delle articolazioni presenti in vari comuni della provincia di Bari (Valenzano, Bitonto, Adelfia, Triggiano, Altamura, Corato, Terlizzi), e di Barletta-Andria-Trani (Bisceglie, Trani).

I clan erano soliti fare ricorso ai rituali camorristici di affiliazione promossi, diretti ed organizzati dai loro componenti che all’interno del sodalizio rivestono la qualità di “padrini” a favore dei “figliocci”, attraverso le cerimonie liturgiche del:
-“battesimo”, con il quale viene conferita la “personalità mafiosa” necessaria per agire nell’ambito del consorzio con pienezza di diritti e doveri;
-“movimento” con il quale all’affiliato viene conferita la “dote”, ovvero la promozione ai vari gradi superiori, eseguito necessariamente con la partecipazione di altri soggetti “attivati”, funzionali a stabilire un posizionamento nell’organigramma del clan, entrambe celebrate da un organismo, denominato “capriata”;
-dall’uso interno e dalla rappresentazione esterna della metodologia mafiosa;
-dall’oggettiva forza intimidatrice esercitata dal sodalizio sul territorio.

Il processo, svolto con rito abbreviato, ha riguardato 91 degli originari 104 indagati arrestati nel blitz “Pandora” eseguito il 18 giugno 2018. Altri imputati hanno scelto il rito ordinario che è tuttora in corso dinanzi al Tribunale Collegiale di Bari. Già in sede di riesame, il Tribunale della Libertà, adito da 79 indagati, ha accolto solo 3 ricorsi, peraltro limitatamente alle esigenze cautelari, affermando – al contrario – la piena sussistenza anche in tali casi della gravità indiziaria.

Nel processo “Pandora” avrebbe dovuto trovare spazio l’esame delle posizioni di altri 6 soggetti, tutti deceduti per morte violenta a causa di lesioni da colpi d’arma da fuoco: Diomede Cesare (ucciso nel 2011); Matera Nicola (ucciso nel 2012); Villoni Massimiliano (ucciso nel 2012); Sifanno Donato (ucciso nel 2014); Luisi Luigi (ucciso nel 2016); Fiorile Gaetano (ucciso nel 2017). Al contempo, non può sottacersi la menzione del tentato omicidio di MERCANTE Giuseppe nel 2012. La drammaticità di tale dato descrive di per sé la pericolosità dello scenario investigato.

In sede di requisitoria, nel processo “Pandora”, si è ritenuto opportuno far risaltare i numeri straordinari di tale poderoso sforzo investigativo. L’inchiesta è stata istruita laboriosamente attraverso la raccolta, integrazione e analisi di una imponente molteplicità di fonti, di dati e di elementi di prova:
-oltre 180 provvedimenti giudiziari (ordinanze e sentenze);
-91 utenze telefoniche intercettate;
-45 intercettazioni ambientali;
-88 interrogatori di collaboratori di giustizia;
-68 servizi di osservazione e pedinamento, svolti dal ROS;
-3 servizi di videosorveglianza fissi;
-750 riscontri e 250 accertamenti anagrafici;
-300 controlli di polizia sul territorio;
-centinaia di epistole analizzate, acquisite o sequestrate;
-68 decreti di Sorveglianza speciale di P.S.;

La puntuale documentazione della impressionante disponibilità di armi da parte delle associazioni mafiose, ha visto, nel tempo, sequestrare o ricondurre agli imputati al clan Mercante/Diomede, di 21 pistole, 3 mitragliette, 5 giubbetti antiproiettili; al clan Capriati, di 26 pistole, 3 mitragliette, 3 kalashnikov, 4 fucili, 6 giubbetti antiproiettile. A riprova dell’efficacia delle investigazioni, nel corso del processo sono intervenute iniziative importanti che hanno costituito un fattore di indubbio consolidamento dell’impianto d’accusa, infatti ben 4 imputati hanno formalizzato l’ammissione degli addebiti (3, quali appartenenti al clan Mercante/Diomede; 1, quale appartenente al clan Capriati); mentre 2 imputati hanno deciso di collaborare con la giustizia (entrambi del clan Capriati).

Si tratta del più complesso processo mai celebrato in Italia interamente in videoconferenza: l’Amministrazione penitenziaria ha contribuito alla gestione di decine di collegamenti in videoconferenza con altrettanti istituti penitenziari. Con una percentuale di condanne per il delitto di associazione di stampo mafioso superiore al 98.9 % in sede di giudizio abbreviato e per la totale assenza di annullamenti in fase cautelare in relazione al quadro indiziario, il procedimento costituisce sicuramente uno straordinario risultato sotto il profilo della tecnica investigativa, avendo anche consentito di ricostruire un articolato arco temporale della vita di due tra i principali clan del territorio barese, anche in ambiti territoriali ( p.es. Bitonto e Terlizzi ), nei quali ad oggi non vi sono sentenze definitive che statuiscano l’operatività di sodalizi mafiosi.