Aula di giustizia

Uccise la figlia di 3 mesi soffocandola nel sonno durante il ricovero al Giovanni XXIII. La Corte di Assise di Bari ha condannato a 16 anni di carcere il 31enne di Altamura, Giuseppe Difonzo.

I giudici hanno riqualificato il reato da omicidio volontario in omicidio preterintenzionale, escludendo anche l’aggravante della premeditazione. Mentre gli altri due reati, due tentati omicidi contro la piccola, sono stati riqualificati in lesioni personali volontarie aggravate. Il sospetto della Procura era che l’uomo fosse affetto da sindrome di Munchausen (fare del male ad altri per attirare l’attenzione) ritenendo che questa patologia, mai diagnosticata con certezza, avesse condizionato i comportamenti aggressivi di Difonzo sulla bambina.

I giudici, inoltre, hanno riconosciuto il risarcimento danni alle costituite parti civili, difese dall’avvocato Sabina Piscopo, da quantificarsi in sede civile. Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra 90 giorni.

Stando alle indagini, Difonzo avrebbe soffocato la figlia Emanuela, di soli tre mesi, nel suo letto di ospedale nella notte fra il 12 e il 13 febbraio 2016. La piccola era nata nell’ottobre 2015 ed era stata ricoverata per 67 giorni in meno di tre mesi a causa di crisi respiratorie provocate, secondo la Procura, sempre dal padre. Difonzo è detenuto per il delitto dal novembre 2016, ma all’epoca era già in carcere per violenza sessuale su una minorenne, una 14enne figlia di amici di famiglia, per la quale è stato condannato con rito abbreviato alla pena di 3 anni di reclusione.

L’avvocato difensore, Antonello Cataldi, ha dichiarato che ci sarà un ricorso sulla sentenza, rimanendo fermo sull’innocenza dell’altamurano. “È comunque già un primo risultato, con il riconoscimento dell’omicidio preterintenzionale e non volontario”.

Al termine della requisitoria i pm Simona Filoni e Domenico Minardi avevano chiesto anche di trasmettere gli atti alla Procura per valutare le condotte delle due assistenti sociali e della psicologa del consultorio familiare che avevano preso in carico la minore. Furono le loro relazioni, pochi giorni prima del decesso della bambina, ad escludere ipotesi di maltrattamenti convincendo i giudici minorili a revocare il provvedimento di affidamento in comunità che era stato precedentemente disposto per la piccola. Su questo la Corte di Assise non si è espressa.