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Sette Scudetti nel massimo campionato di Calcio italiano, cinque Supercoppe italiane, una Coppa Italia, cinque tra Coppe dei Campioni e Champions League, cinque Supercoppe UEFA, due Coppe intercontinentali, una Coppa del mondo per club, 902 presenze con la maglia del Milan (record): tutto questo non basta per sentirsi al sicuro davanti alle esigenze del business nel mondo dello Sport odierno. Paolo Maldini, uno dei più ammirati e stimati calciatori della storia del pallone, sicuramente il più rappresentativo insieme a Franco Baresi della storia rossonera, non rientra più nei piani aziendali dell’AC.Milan. La società ha concluso l’annata 2022/2023 con un quarto posto in Serie A che vale 50 milioni da parte della Uefa, una semifinale di Champions League che i tifosi rossoneri sognavano da veramente troppi anni, e un bilancio non eccelso ma positivo. Gerry Cardinale, il proprietario del Milan, non ha rinnovato il contratto da Direttore dell’area tecnica a Maldini, deluso dai risultati e da alcune divergenze sul piano economico.

A prescindere dai dettagli che hanno portato alla rottura tra Maldini e la società rossonera, la cacciata della storica figura del club è soltanto l’ultimo dei sintomi di una malattia che ha cambiato il mondo dello sport: l’ossessione per il profitto economico e la convinzione che i numeri facciano realmente la differenza nel rettangolo di gioco. Nessuno, atleta, tecnico, dirigente, è più al sicuro di fronte alle esigenze del business. Il capitalismo, nel calcio, è sempre esistito, anzi, ne è la fonte primaria, come negarlo. A cambiare il volto dello sport, infatti, non è tanto il sistema economico (che regge le fondamenta), quanto gli uomini e le donne che lo dirigono.

Le scrivanie e le cravatte hanno preso il posto delle panchine e dei pantaloncini, con risultati a dir poco scadenti. Non è un caso che alcune delle storie più belle del mondo dello sport, scritte da passione, sacrificio, lacrime e fatica, paiano oggigiorno sempre più lontane, distanti, irripetibili. Teniamoci strette tutte le notti di calcio in cui abbiamo tifato o temuto Paolo Maldini sul campo: un grande privilegio e una rara eccezione in una dimensione che assomiglia sempre più a un grande mercato delle vanità e sempre meno a una competizione sportiva.