Più che di esperimento elettorale, si è trattato di una piccola commedia degli “errori”, una simil-farsa, un esperimento di democrazia alla sudamericana. Se questo articolo terminasse così avreste ragione a definirci millantatori, sobillatori e arruffapopolo. Allora facciamo parlare i numeri.

Il Comitato Cri afferente all’Area Metropolitana di Roma Capitale, quello tagliato e cucito su misura per il pagnottella, quello nato dalla poca conoscenza della geografia romana e della carta costituzionale nazionale, conta ben 4996 soci aventi diritto al voto. Devono essere cioè persone iscritte nei ruoli della Cri che abbiano svolto nei due anni precedenti attività di volontariato, che permangano nel loro comitato da almeno sei mesi e che non abbiano pendenti o sanzionati provvedimenti disciplinari. Di questi quasi cinquemila soci, se ne sono presentati a votare soltanto 671, dei quali 5 hanno inserito nelle urne predisposte per il voto la loro scheda immacolata, mentre altri 16 hanno preferito pasticciarla.

Se stiamo zitti noi possiamo far parlare i numeri che raccontano quanto noi avevamo già annunciato e cioè che questo voto, annunciato come plebiscitario e dilagante, si è trasformato in un boomerang, in un tremendo segnale di noia e disaffezione da parte dei volontari veri, quelli che lavorano per la Cri e alla Cri portano i soldi che finiscono anche nello stipendio di Flavio Ronzi e degli altri supermanager.

Si dice che in molti abbiano raccolto il nostro appello. A noi non interessa e non lo vogliamo nemmeno pensare, perché stimiamo i volontari e crediamo non abbiano bisogno di articoli di giornale o sollecitazioni varie per pensare con la loro splendida testa, perché sappiamo che in un momento storico e sociale come questo, già il solo mettersi in gioco come volontario non pagato, costituisce il segnale di riscossa che questa Società italiana merita, un segnale di orgoglio e disponibilità verso il prossimo che andrebbe quotidianamente premiato.

In mezzo ci si mette poi anche il sistema elettorale di Cri, molto utile a chi governa l’associazione, ma molto molto poco democratico. Basti pensare che anche sui grandi numeri, pure se tra una lista e l’altra ci sono pochi voti di scarto, chi ha un voto in più degli altri piglia tutto, presidenza e tutti i seggi in consiglio, e governa indisturbato fino alla fine del suo mandato, potendo essere sfiduciato dall’assemblea dei soci una volta soltanto nell’intero periodo e attraverso un farraginoso sistema di calcolo delle maggioranze necessarie che sfiancherebbe Archimede Pitagorico.

Come si appresteranno a governare Roma Debora Diodati, Sara Vastola, Gianluca Saitta, Alessia Ranghiasci e Alessio Bertini, sapendo bene che poco più di dieci volontari su cento hanno votato per loro? Come potranno gestire un consenso che non hanno e che deriva anche dal disamore generato dalla squadra che ha governato il Comitato della Provincia di Roma prima di loro? Certo, il consenso si costruisce e nessuno te lo regala, ma allora perché scegliere proprio loro, che tutti sapevano essere candidati senza particolare personalità?

Il problema sarà sicuramente trasferito su altre questioni, come quella di cercare di capire chi sia veramente Nicola Banti. Facciamo giocare tutto il nostro grande oceano di volontari, per impedire loro di ragionare sui veri problemi e sul futuro, sempre più grigio, dell’Associazione di volontariato più grande d’Italia.