In Spagna 7 persone sono state arrestate per gli episodi di razzismo nei confronti del calciatore del Real Madrid Vinícius Júnior. Gli accusati sono stati prelevati dagli agenti durante la giornata di martedì, 23 maggio, nella capitale Madrid e nella città di Valencia, dove è avvenuto nello specifico il caso in questione. Si tratta di un piccolo ma primo passo da parte del mondo dello Sport e delle autorità competenti verso una vera condanna e presa di posizione seria nei confronti delle sempre più numerose manifestazioni di razzismo negli stadi e non solo. A un rifiuto categorico verso atti di razzismo e un’incondizionata condanna, bisogna far seguire un no, senza riserve, al doppiopesismo: davanti alle discriminazioni razziali non esistono categorie o atleti di Serie.

Gli episodi di Madrid e Valencia

L’attaccante brasiliano Vinícius Júnior, alla corte del tecnico italiano Carlo Ancelotti, durante la partita contro il Valencia giocata allo Stadio Mestalla è stato insultato pesantemente dai tifosi locali con appellativi razzisti. Lo scorso gennaio, a Madrid, è stato invece appeso a un ponte un manichino nero con la maglia di Vinícius. Delle 7 persone arrestate dagli agenti di Polizia, 4 avrebbero preso parte all’episodio del manichino, 3 sono invece state identificate tra il gruppo di tifosi (mi sforzo a definirli tali solo per dovere di cronaca) che insultava il giocatore del Real Madrid a Valencia, definendolo “mono“: scimmia. Già sul campo si è avuta una prima reazione da parte dei compagni del brasiliano e, in primis, del tecnico Ancelotti, furioso contro il direttore di gara per non aver interrotto la partita ed aver espulso proprio il numero 20 dei Blancos. Nella giornata di domenica molte squadre di calcio di tutto il mondo hanno mostrato il loro sostegno a Vinícius. Il presidente brasiliano Lula è intervenuto in conferenza stampa dal Giappone, dove si stava svolgendo il G7. La giustizia spagnola starebbe invece trattando gli episodi sopracitati come crimini d’odio e secondo i quotidiani locali nelle prossime settimane verranno arrestate (ce lo auguriamo) altre persone legate ai fatti accaduti.

No al doppiopesismo

Esiste un campo di gara nel quale appassionati, atleti, commissari tecnici, società sportive, istituzioni e autorità giudiziarie hanno il dovere di lottare dalla stessa parte: è la battaglia contro razzismo e ogni forma di discriminazione. Le manifestazioni sportive, i campionati ed i trofei si vincono per merito, per abilità individuali, a volte perché baciati dalla fortuna: davanti alle discriminazioni razziali, in qualunque forma esse vengano manifestate, non esistono atleti di Serie A e Serie B. La storia dello sport è costellata di episodi discriminatori e non soltanto nei confronti di una particolare etnia o di atleti che hanno un colore diverso della pelle. Molti, però, ed è realtà trasparente, hanno molto più eco di altri. Spesso, ed è tristissimo, poiché strumentalizzati a sfondo politico.

Di recente, in Italia, abbiamo assistito durante la partita giocata a Bergamo tra Atalanta e Juventus a vergognosi insulti al giocatore serbo Dušan Vlahović, appellato ripetutamente dalla curva nerazzurra “zingaro”. Nei confronti del settore implicato è stata confermata la chiusura per un turno di campionato. Il caso del giocatore serbo della Juventus, il quale, tra l’altro, ha reagito segnando e mimando il silenzio ai tifosi bergamaschi, è soltanto il più recente di casi che ogni settimana caratterizzano gli eventi sportivi. Non avrebbe senso iniziare un elenco di episodi e giudicarne il livello di gravità, anche perché rischierei di essere tedioso. Quello che qui si vuole sottolineare è una cosa ben precisa: appartenere a una particolare etnia, secondo una storia comunitaria o caratteri fisico-somatici, non dovrebbe mai essere un privilegio davanti ad un giudizio critico contro il razzismo. Con privilegio, s’intende (a scanso di equivoci scivolosi e pericolosi), il diritto ad essere difesi con maggior vigore rispetto ad altri atleti, aggrediti verbalmente per la sola colpa di appartenere a una etnia diversa. La discriminazione razziale, in ogni sua forma, è da condannare, sempre e con la stessa forza.