Due persone, una donna e un uomo, due lavoratori, hanno deciso di togliersi la vita. Lo hanno fatto non più di dieci giorni l’una dall’altro. In comune un disagio tale da portarli al gesto estremo nella propria abitazione, con particolari che farebbero ulteriormente riflettere, ma che è giusto restino nella sfera dell’assoluta intimità. Tutto sommato nessuno potrà mai sapere quale sia stata la vera molla. Perché proprio in quel momento e non un mese o un anno prima. Entrambi di Modugno, i due avevano alle spalle storie molto diverse tra loro.

In questi mesi siamo stati oggetto di costanti criche per la decisione di pubblicare notizie relaive ai suicidi, che la deontologia vorrebbe relegate nel dimenticatoio della professione e della coscienza. Parliamo del gesto estremo della gente comune, del vicino di casa. Non ci riferiamo alle scelte fatte dai divi, che ormai si raccontano come se non fesse necessario avere lo stesso tatto e l’identico rispetto dell’intimità. Ennesima ipocrisia di un sistema sempre più attento alla supeficie.

Dopo aver intervistato il direttore del Centro di Salute Mentale della Asl Bari, la professoressa Maristella Buonsante, siamo ancora più convinti della nostra decisione. Il rischio vero, al netto delle dicerie da social network, dove vengono pubblicati nomi, particolari e fotografie, è che tutto passi in sordina, perché così è più comodo per tutti.

La questione sta diventado rilevante. La stessa professoressa ha confermato come, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la depressione sarà presto la prima causa di malattia. Senza contare che già oggi aumenta il numero di chi chiede aiuto, il disago psichico, soprattutto tra i più giovani. E allora aiutiamo chi è più fragile, almeno quando i sintomi del malessere sono evidenti (chiusura, mutismo, assenza); poniamoci in ascolto e in visione di chi ci sta attorno, suggerendo loro di recarsi da uno specialista. È probabile che qualcuno riesca a salvarsi.