Bari

Caro Sindaco di Bari, Antonio Decaro,

la sensazione di governare una città di incazzati cronici e protestatari abituali deve essere forte e spiacevole. E la tentazione di consolarsi con il solipsistico e autoreferenziale “come la fai la sbagli”, altrettanto potente. Ma che Bari sia, su grandi temi urbanisticamente identitari, una città irrisolta, non credo possa essere negato da chiunque, in buona fede, ami questo posto e cerchi di dare il proprio contributo per il bene comune.

Il verde, per esempio: Bari è centesima (su 116 città) con poco più di sette metri quadrati di verde per abitante. Solo Taranto fa peggio di noi, e non è certo consolante. Si tratta di dati Istat ufficiali: 7,8 metri quadri ad abitante, in peggioramento rispetto agli anni precedenti.

Quei pochi interventi previsti dal suo programma, a Japigia per esempio, non sono ancora partiti o sono partiti a rilento. In compenso, e mentre tutti gli indicatori economici della città metropolitana restano drammatici, stanno sorgendo qui e lì palazzi e palazzoni che, a seconda che siano pubblici o privati, sono di una bruttezza disarmante o di una pretenziosità fuori contesto.

Non siamo urbanisti, architetti, ingegneri o esperti in disegno del paesaggio urbano, ma se in questa città ci si aggrappa a quei brutti vasconi di via Sparano, colmi di immondizia dove vegetano da un paio di decenni delle palme comuni; o ancora scoppi una rivolta per l’abbattimento di una trentina di comunissimi pini, per far posto a una rotatoria, qualcosa vorrà pur dire.

Probabilmente vuol dire che qui il verde è talmente scarso e di pessima qualità (certo che il verde urbano può essere di scarsa qualità) che la popolazione si sente in diritto di rivoltarsi appena glielo toccano o minacciano di toccarlo. Moltissimi baresi non hanno mai visto un vero parco urbano e ritengono che Parco Due Giugno sia un “polmone verde” di straordinaria bellezza, o che gli spazi cementificati di Piazza Umberto o Piazza Cesare Battisti o i triangolini asfittici di certi incroci (poco più che aiuole), o che la Pineta di San Francesco, possano davvero migliorare la qualità dell’aria e della vita di questa città.

Che fine ha fatto il censimento per gli alberi monumentali in città? Non ne sappiamo nulla da un anno. Qualcuno ha risposto, qualcuno ha segnalato? Uno dei tanti, troppi annunci della sua amministrazione caduti poi regolarmente nel vuoto?

E la legge Rutelli che imponeva ai comuni sopra i 15 mila abitanti di piantare un albero per ogni neonato? Lettera morta a Bari, anche ai tempi della sindacatura di Michele Emiliano che pure, con l’abbattimento dell’ecomostro e la istituzione (su terreno privato…) di un “parco Perotti” sembrava avere a cuore più di altri questo tema.

La nascita dei Municipi poteva essere un’ottima occasione per la ridiscussione partecipata sui temi dell’arredo urbano e del verde, senza dimenticare la possibilità di incrementare e incoraggiare la fruizione dei tanti orti urbani di cui potenzialmente la città dispone. Macché, anche i Municipi sono una scatola vuota e inefficace, entità senza fondi e potere, l’ennesimo poltronificio inutile, e dispiace dirlo per le tante brave persone che ci hanno creduto e che sono state comunque elette, per poi non poter fare letteralmente nulla.

Onestamente, forse è colpa nostra, ci sfugge l’impellenza e l’urgenza di ristrutturare via Sparano, come non abbiamo compreso il motivo di ben due rotatorie (di cui una sicuramente importante anche perché ogni due per tre lì accadono incidenti gravi e gravissimi) a poche decine di metri l’una dall’altra. A Bari continuano a lavorare e guadagnare solo e sempre le ditte che lavorano con cemento, asfalto, mattoni.

E ci sfuggono, anche, i motivi profondi e strutturali per cui un’amministrazione non sia capace di avere una visione complessiva e globale dell’anima eternamente incompiuta di Bari, città bellissima dicono alcuni, ma con eterni problemi identitari rispetto al suo mare, che pure l’ha creata e la mantiene in vita, rispetto al suo entroterra che l’alimenta e la nutre, rispetto al commercio, che le ha fornito la principale leggenda del suo esistere, rispetto al suo stesso piano regolatore, così razionale, pulito, ordinato, dai mitici tempi di Gioacchino Murat fino a Ludovico Quaroni e a chi, con meno risorse e sicuramente meno intuizioni, oggi deve gestire il futuro.

Forse, più che creare barricate, divisioni, comitati pro o contro questo o quello, è il momento di interrogarsi davvero, tutti noi cittadini, insieme a Lei e alla sua Giunta, su che città abbiamo creato e che città vorremmo davvero. La democrazia partecipata non è una bella espressione intrisa di utopia, sta alla base di alcuni ordinamenti fondamentali del nostro paese, a partire dalla Carta Costituzionale o, più recentemente, su tutto quanto è stato innovato e potenziato da Franco Bassanini e dalle sue leggi.

Il punto è: se la sente, caro Decaro, di gestire questa sorta di “rivoluzione dei saggi”? Noi, e non si dispiaccia, non ne siamo per nulla sicuri.