Un po’ di storia: nasce in Francia, circa 25 anni fa, l’idea del Diner En Blanc (cena in bianco) e oggi è un marchio internazionale, regolarmente registrato che coinvolge o ltre 60 città fra America, Europa e resto del mondo. Da quella prima cena in bianco con poche decine di partecipanti, tutti amici di François Pasquier, gentiluomo parigino, oggi un evento nella città capitale di Francia, riguarda ogni anno circa 15 mila persone.

A parte il dress code rigorosamente total white, le regole impongono che il posto resti “segreto” sino a 24 ore prima perchè altrimenti il “flash mob” (che dovrebbe avere la spontaneità fra le sue peculiari caratteristiche), diventerebbe uguale a qualsiasi raduno. Come è tassativamente obbligatorio che il luogo venga raggiunto a piedi, in bus o comunque con un mezzo pubblico, e forse i taxi non sono considerati tali dal regolamento internazionale.

Bari, abbiamo controllato, non è stata presa in considerazione come evento da porre nel calendario ufficiale, forse perchè gli eventi baresi non sono stati ancora gratificati del marchio internazionale della manifestazione. E non c’è traccia nemmeno dell’evento dello scorso anno.

Detto questo: alcune considerazioni a freddo, una volta terminata la seconda edizione, con un numero di partecipanti che oscillava tra i cinquemila e seimila, a fronte (fonte dell’organizzazione curata dalla Signora Rosa Armenise Lo Buono) di oltre ottomila richieste via email. Nello spirito dei fondatori, la cena in Bianco è sostanzialmente la condivisione allargata di un piacere privatissimo, quello di trovarsi a cena con amici e cogliere l’opportunità di conoscere nuove persone. Un rito laico che ricorda una santa cena. Forse siamo rozzi e grezzi, ma non abbiamo capito perché un piacere privatissimo, sia pur bello da vedere e divertente da vivere, si debba trasformare in un impegno pubblico logisticamente gravoso.

La serata del 17 luglio sarà ricordata da tutti i baresi che non partecipavano e che passavano in auto dal centro, come un incubo di ingorghi, strombazzamenti, smog e parolacce, molte delle quali indirizzate senza remore verso i bianco vestiti e incappellati che come pellegrini del bon ton, attraversavano la marmaglia incivile che di loro, come direbbe Montalbano, se ne catafotteva altamente.

L’anno scorso fu scelto il sagrato di San Nicola, fra città vecchia e lungomare: c’erano poco più di mille persone e la gestione fu indubbiamente meno complicata, soprattutto per chi doveva garantire, comunque, ordine pubblico e sicurezza. Quest’anno si è trattato di chiudere per mezza serata il luogo privilegiato della “movida” a quattro ruote, l’arteria che unisce centro e periferie marine a sud e a nord della città.

Sospendiamo, dunque, il giudizio: ognuno può divertirsi come crede ed essere anche convinto che il suo divertimento possa avere delle ricadute socio-antropologiche formidabili (e su questo, per esempio, sul caso specifico, noi abbiamo dei dubbi clamorosi).  Ci permettiamo dunque un solo consiglio: il prossimo evento, lo si organizzi in uno squallido, buio e desolato spiazzo della Zona Industriale di Bari, magari in un capannone abbandonato di qualche azienda falcidiata dalla crisi.

Quale migliore occasione per dimostrare che la bellezza, l’educazione, l’urbanità e la gentilezza possono salvare il mondo?