Il mondo musicale è un universo parallelo in cui, lontano da microfoni e riflettori, si muovono numerosi addetti ai lavori. Spesso sconosciuti al pubblico, sono quelli dalle cui decisioni, spesso, dipendo le sorti di questo o quell’artista. Non fa eccezione l’organizzazione di un evento, grande o piccolo che sia. Franco Muciaccia è uno di questi. Titolare di una casa discografica, è l’anima del Festival Acqua Vitae, concluso da poco. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Partiamo dall’ultima edizione, come è andata?
Credo che sia andata molto bene. Sia sotto il profilo delle scelte artistiche, che sotto quello organizzativo. Abbiamo avuto un notevole successo di pubblico, circa settecento spettatori distribuiti nelle quattro serate. I concerti che hanno riscosso maggior successo sono stati l’ultimo nel quale si sono esibiti il dj Tuppi prima e poi la cantante inglese Andreya Triana; ed il primo, che ha visto la performance di Os Argonautas prima e poi quella di Patrizia Laquidara. Inoltre la scelta del Nuovo Teatro Abeliano si è rivelata vincente, ed anche lo spostamento del festival da luglio (mese in cui si era svolto nelle sette precedenti edizioni) a settembre.

Quali sono statele maggiori difficoltà durante la preparazione e quali, se ce ne sono state, durante lo svolgimento della manifestazione?
Di grosse difficoltà non ne abbiamo avute; a meno che non si vogliano considerare tali le lentezze della burocrazia: permessi, procedure per i finanziamenti…

Acqua Vitae è relativamente giovane, tutto sommato. In un panorama musicale molto affollato, qual è il suo tratto distintivo, perché il pubblico dovrebbe andare a vedere questo festival e non altri?
Io penso che il pubblico debba andare a sentire la musica ed a vedere i concerti il più possibile, e solo se costretto dalla concomitanza debba scegliere. Per quanto riguarda noi, crediamo più giusto scavare nel grande panorama di offerte musicali che oggi ci si presenta, e tutte accessibili anche grazie ad internet, e conseguentemente scegliere le proposte più nuove, originali e artisticamente valide, senza troppo lasciarci influenzare dalle tendenze. Ma probabilmente è lo stesso percorso che seguono altri organizzatori.

Nella musica girano sempre meno soldi, secondo certi cliché gli artisti sono persone difficili con cui aver a che fare e anche il dialogo con le istituzioni o le strutture è abbastanza complesso. Vale allora la pena darsi tanto da fare?
È vero, in tanti casi, che gli artisti sono persone difficili, e ancora di più le agenzie di booking; è vero pure che con gli enti, considerata la situazione economica generale, il rapporto sia diventato più difficile. Bisogna considerare, però, che la molla che spinge quelli che si dedicano a questa attività è certamente la passione, e non la voglia di fare soldi. Penso proprio che ne valga la pena, specie se i risultati sono quelli di questa edizione.

All’epoca della prima edizione i tempi erano diversi, cosa è cambiato nel corso degli anni rispetto ad allora? In peggio ma anche in meglio…
In peggio è ovvio che, per chi come noi propende per gli spettacoli a pagamento, benché con costi molto contenuti, la situazione economica generale è il nemico numero 1. In meglio, invece, c’è una maggior consapevolezza del pubblico, una maggiore sensibilità dal punto di vista musicale. Probabilmente, l’avvento di internet è stato formativo in questo senso, perché non si è più costretti a sentire la musica scelta da altri -radio, televisioni o altro- spesso secondo criteri non del tutto artistici.

I grandi eventi, le tournée internazionali, generalmente trascurano la Puglia, se si spingono a sud di Roma. In base alla sua esperienza una battuta per chiudere: cosa manca a questa città perché ciò non succeda più?
Non credo che sia del tutto così, o per lo meno la situazione è molto migliorata rispetto al passato. In ogni caso, non è un problema della Puglia, dove ormai è universalmente riconosciuto un grande fermento musicale. Direi piuttosto che il problema riguarda tutto il sud d’Italia, e le ragioni sono le stesse che spingono ad abolire i treni Roma-Bari e viceversa, e ad istituire linee ad alta velocità solo al nord ed al massimo fino a Roma.