amtab

Caro Comandante Nicola Marzulli, saperla alla Presidenza di quel carrozzone fetido e traballante, mobbistico e smandrappato che risponde al nome di Amtab è per me, che la ricordo fiero apice della gloriosa Municipale Barese, un segno del destino.

Vorrei raccontarle una delle mie tante, usuali, consuete mattinate. Come altre migliaia di baresi abito a Japigia e lavoro a Poggiofranco. Che fortuna, penserà lei già calato nel ruolo. E di fatti vi sono almeno un paio di popolarissime linee bus che collegano le due zone. Ma sono al pari delle madri di moltissimi dirigenti aziendali baresi, pura leggenda.

Non basta alzarsi alle cinque, a volte. Munirsi verso le sei e trenta di regolare biglietto (meglio due: potrebbe servire al ritorno), presso l’unica edicola aperta a quell’ora che appena appena albeggia e poi giocare la morra per capire se conviene aspettare il mitico 9 o il più consolidato 10 che, come saprà, da un certo punto in poi hanno fermate abbastanza divergenti.

La mattina in cui si sceglie il 9 è spesso anche quella in cui il detto 9 fa il suo giro (Polivalente-Policlinico e ritorno) con una sola vettura, in genere la più vecchia e scassata, che al posto delle sospensioni probabilmente ha quattro vecchie molle ricavate dal letto matrimoniale della bisnonna del capo officina.

Una sola vettura significa che il bus passerà ogni due ore, se non si ferma prima bloccato da un guasto lungo il percorso. E dunque la linea resterà scoperta chissà fino a quando. Ci (a me e a tutti i miei sfortunati compagni di viaggio) è capitato anche di fare a piedi lunghi tratti di strada con un tempo infame, spostandoci da fermata a fermata come pellegrini alla Via Crucis, sempre sperando di veder arrivare in lontananza la sferragliante vettura.

Dovendo in mattinata ottemperare a un importante incontro di lavoro, ho scelto il dieci, me tapina e me infelice, pensando, a torto, in una frequenza maggiore di detta linea: alle 7.21 ero alla fermata di via Peucetia, fidando nella tabella delle corse che mi dava alle 7,27 il prossimo passaggio utile del 10. Ma un rapido consulto con la piccola folla in attesa mi dava la prima cattiva notizia. La mia vettura era appena passata, con sette minuti di anticipo (!!!). I volti comprensivi e alcune pacche sulle spalle a conforto non promettevano nulla di buono.

Un vecchio signore, dall’aria vagamente mistica, mi annunciava infatti quasi profetizzando che “da nu sacc de tiimp cuss cappr de desc fasc u matt e pass quann vole jiid” il che significava che a) gli orari in tabella valevano meno degli oroscopi di Paolo Fox e b) non vi era quasi alcuna possibilità che la prossima vettura passasse prima di un’oretta perchè “nun s’è vist l’ald desc sci’ o Polivalent” in pratica non c’era nessuna vettura pronta al capolinea in direzione Japigia-Poggiofranco.

Accidempoli, ho pensato educatamente. Il mio appuntamento per 8.30 cominciava a sbiadire come una vecchia foto. Accanto a me, un piccolo popolo di rassegnati e sconfortati, accampati sotto la pensilina, borbottava varie ovvietà sui bus, i ritardi, il traffico e l’impossibilità storica e stratificata nei decenni di rispettare un qualsivoglia appuntamento usando il trasporto pubblico barese.

Alle 8.25, in effetti, del dieci non c’era la minima traccia. Prima di decidermi a chiamare un taxi e guadagnare un punto sicuro cui farmi raggiungere, l’ultimo sguardo, amaro, l’ho dato alla pensilina dove avevo condiviso oltre un’ora di attesa con i miei sventurati concittadini. Su un bel tappeto d’aghi di pino, era cresciuta l’erba, segno della primavera incipiente e di una lunga attesa. E di un degrado, di una trascuratezza, di una sciatteria esistenziale che, al momento, caro Comandante Marzulli, mi sembra davvero invincibile. Anche per Lei, indomito apice della Municipale di Bari.