Ormai è chiaro: la sosta selvaggia è una tossicodipendenza, un morbo subdolo e difficile da debellare le cui manifestazioni sono un evidente atteggiamento menefreghista e un senso di ostentata impunità. Come un drogato, chi abusa del parcheggio selvaggio inventa scuse improponibili per giustificare il proprio malessere.

Fa tristezza camminare per la strada, pensando ai fatti tuoi, non so, magari mentre sei in giro per un servizio sull’Amtab, e imbatterti in una persona affetta da sosta selvaggia che ha abbandonato la propria auto di traverso, davanti alla pensilina della fermata dell’autobus, proprio nell’area delimitata dalla linea gialla tratteggiata e la scritta gigante “BUS”, dove la navetta accosta per far salire e scendere i passeggeri.

Il proprietario, poco distante, vedendo la nostra telecamera inquadrare la palina dell’Amtab, ha creduto stesse riprendendo il suo mezzo ed è stato colto da una acuta crisi del morbo. Il poverino ha cominciato a manifestare eccessi di strafottenza, seguiti da forti colpi di “Lei non sa chi sono io”, accusando uno stato di terrorismo psicologico, più precisamente l’accusa era rivolta a noi di voler fare terrorismo psicologico, filmando la sua auto lì dove proprio non sarebbe dovuta essere.

Alla nostra richiesta se avesse o meno intenzione di spostare da lì la macchina, l’uomo balbettando ha risposto: «Il vigile mi ha autorizzato a prendere il caffè». Lì, in divieto di sosta. Davanti alla fermata del Bus. Che se arriva il pullman non può accostare ed è costretto a fermarsi al centro della corsia di marcia.

E lì che fai? Lo guardi, pensi “poverino” e gli auguri buona giornata. Noi ce la mettiamo tutta nella nostra campagna di sensibilizzazione contro il morbo della sosta selvaggia, unico disagio mentale che non consente di parcheggiare sugli stalli per disabili. A chi ne è affetto, diciamo solo: curatevi. Il primo passo per combattere la dipendenza è la consapevolezza.