Andria, contrada Castel del Monte. Ai piedi del castello federiciano sorge un grande esempio di spreco all’italiana, non tanto di soldi pubblici, quanto di eccellenze e potenzialità enormi ma inespresse a causa di beghe politiche e burocratiche. E, come spesso accade, ad avere la peggio sono i lavoratori.

Un centro d’eccellenza
Riavvolgiamo un attimo il nastro. La storia del Centro di Ricerca Bonomo (Crb) parte dal lontano 1958: la famiglia Bonomo decide di realizzare un orfanotrofio per offrire aiuto a ragazzi orfani o economicamente disagiati. La svolta arriva nel 1978: la famiglia Bonomo cede la struttura alla Provincia di Bari che, sempre su indicazione dei fondatori, ne cambia destinazione e la finalità. Nasce così il Centro Ricerche Bonomo.

Obiettivo dell’ente diventa la ricerca e la sperimentazione in agricoltura oltre alla salvaguardia della qualità dei prodotti ortofrutticoli dell’Italia Meridionale. Nel corso degli anni il centro partecipa a numerosi progetti commissionati da enti pubblici e da aziende private raggiungendo importanti traguardi nel campo della ricerca. Nel 2005 viene anche accreditato presso la Regione Puglia come ente di formazione

L’inizio del calvario
Sembra tutto perfetto, ma… c’è sempre un ma. Questo meccanismo, apparentemente perfetto, ad un certo punto si inceppa. Dal 2010 una serie di circostanze negative di natura finanziaria portano il centro alla paralisi. Nel 2011 l’assemblea dei soci pone in liquidazione il consorzio con un debito fuori bilancio di appena 500mila euro. Una somma non smisurata ma che crebbe col passare degli anni.

Andarono così perduti i finanziamenti dei progetti e, cosa ancora più grave, tutti i posti di lavoro: una decina le persone licenziate. Le unità amministrative furono più fortunate perché dipendenti della provincia (alcuni ex orfani dell’Istituto Bonomo). Da questo momento per i lavoratori licenziati inizia una odissea fatta di promesse mai mantenute, speranze disilluse, e mille difficoltà per sopravvivere. Persone che hanno dedicato anni al centro ma che si sono ritrovati in mezzo a una strada a combattere, da soli, contro la burocrazia.

Inutile anche la creazione della Fondazione nella primavera del 2013: l’intento era quello di riprendere le attività di ricerca coinvolgendo anche il privato partendo da quattro PIF (progetti integrati di filiera) della Regione. I lavoratori licenziati vengono reintegrati (ma con contratto a tempo) a cui si aggiungono 15 nuovi operai. Tutto inutile: ultimati quei progetti, a Giugno 2016 il centro chiude definitivamente i battenti.

Lavoratori abbandonati
Il calvario per gli ex dipendenti del centro riprende, peggio di prima. Lorenzo, 48 anni e un mutuo sulle spalle, è uno di quei lavoratori: “Non è giusto quello che hanno fatto. Ho lavorato per 14 anni nel centro, ero un operaio specializzato, responsabile della frigo-conservazione. A 48 anni che nuovo lavoro devo trovare? Invio curriculum in tutta Italia ma senza risposte”.

Eppure i lavoratori che tutt’ora non hanno trovato un altro impiego non sono più di 3-4 ma non si riescono a ricollocare nonostante le tante promesse: “Nessuno vuole prendersi le proprie responsabilità. Abbiamo chiesto alla Bat, al presidente metropolitano Decaro, alla Regione e allo stesso Emiliano, ma senza risultati. Almeno ci dicano che non possono fare più niente e basta, invece siamo stati presi in giro più volte, e continuano a prenderci per i fondelli. Non vogliamo elemosina, ma un lavoro qualsiasi, anche come usciere”.

Oltre al danno anche la beffa: “Siamo in causa per riavere almeno le mensilità che ci mancano del 2011 (ben 8 più tredicesima e quattordicesima) ma non credo che finirà bene per noi. Al momento abbiamo solo pagato gli avvocati”.

Un centro “inesistente”
La situazione attuale del centro di ricerca Bonomo è paradossale. L’intera area è completamente abbandonata e chiusa. Solo un peso morto, oltre che una spesa, per l’ente che attualmente lo gestisce e in qualche caso degradato persino a “parcheggio” per il Castello nei giorni di grande affluenza.

La Provincia per legge non può metterci mano: infatti l’area è vincolata a finalità di ricerca fino al 2020 e la materia non rientra fra le competenze delle province. La città metropolitana è uscita di scena con la delibera del 31 marzo 2015 in cui “recede da socio della Fondazione Bonomo revocando la deliberazione consiliare del 30 aprile 2014 n.7”. Quel documento, approvato dalla Giunta a presidenza Schittulli, prevedeva infatti “L’adesione della provincia di Bari alla Fondazione Bonomo per la ricerca in agricoltura in qualità di partecipante sostenitore”.

La Regione, nonostante diverse promesse, anche dello stesso Emiliano, ad oggi non ha mosso un dito. Inutile l’ordine del giorno del 2015 firmato da quattro consiglieri (Lacarra, Ventola, Mennea, Zullo) in Consiglio Regionale, perso nel nulla anche il tavolo di lavoro “apparecchiato” da Francesco Spina, ex presidente della Bat, l’anno scorso.

Per la politica, insomma, il centro non esiste più. Tutte le istituzioni sembrano, per un motivo o per l’altro, prendere le distanze dalla questione, lavandosene le mani. Sull’intera vicenda è calato il silenzio ma, quello che è più grave, è la storia di questi lavoratori che è caduta nel dimenticatoio.