Bruciare il mare è una cesura, è uno sradicare ed è per sempre. Non si torna indietro.
Il mare ingoia, strappa di dosso la storia, lascia nudo, uccide oppure permette di rinascere.
Se così sarà, come sarà la rinascita? Sarà davvero il sogno immaginato o cosa?

«Siamo qui per raccontarvi alcune storie di radici strappate a forza, di gente che ha attraversato il Mediterraneo e il grande Oceano in diverse epoche della nostra storia. Cominceremo raccontandovi la storia di un giovane uomo, un poeta, Mariano Scalesi oppure, come lui amava farsi chiamare, Marius Scalési. (…) Uno dei tanti dimenticati che però, a differenza di altri, è ritornato con la forza della sua persona»: in questo passaggio è racchiuso l’ultimo lavoro della palermitana Beatrice Monroy, Ragazzo di razza incerta (edizioni la meridiana, collana passaggi, pp. 160, Euro 16,50).
La prima parte del testo ricostruisce la vicenda di Mariano Scalesi. Se si cerca su internet non c’è alcuna traccia di lui. Eppure in una cartella clinica del manicomio di Palermo egli esiste, e accanto al suo nome si legge: ‘ragazzo di razza incerta’.
Da questa frase è partita la ricerca di Beatrice Monroy e il bisogno di raccontare la storia di un ragazzo vittima del pregiudizio razziale. Mariano era uno storpio. Ed era figlio di emigrati: da Palermo a Tunisi alla ricerca di una vita migliore. Aveva studiato, perché «uno storpio, se impara a leggere e scrivere qui, in questo Paese, forse un mestiere lo trova» si era detto il padre. E Mariano imparò. Leggeva Baudelaire e i poeti francesi. E poi scriveva poesie. Ma alla fine si ammalò di una strana malattia: la follia. Morto dopo tre anni di isolamento nel manicomio di Palermo, fu buttato nella fossa comune. Nelle antologie italiane non c’è traccia di lui. Tunisi e la Francia invece lo celebrano come un grande poeta.
Una storia del ‘900. Ma non può dirsi una storia vecchia. Perché oggi c’è il mare a fare da fossa comune ai tanti che cercano una vita migliore. O ci sono i centri di smistamento. O ci sono anche le campagne e i ruderi. Noi italiani, popolo di migranti, sappiamo bene che le razze non esistono ma coltiviamo il pregiudizio.
Ecco perché questa storia andava scritta e pubblicata.
La seconda parte del libro, infine, racchiude altre storie di immigrazione raccolte da Beatrice Monroy. Storie vere di chi è partito da noi per andare altrove e da chi da altrove è venuto da noi. L’epilogo per tutte le storie è uno solo: “meglio la nave dei folli, lì nella palude solitaria che questo mondo senza cuore”.

Beatrice Monroy, palermitana, narratrice, autrice di testi teatrali e radiofonici (RadioRai), conduttrice di laboratori di scrittura e narrazione; ha pubblicato diversi libri e poemi. Con la meridiana ha pubblicato Tutti in scena. Manuale per laboratori di teatro e drammaturgia (2010) e Niente ci fu (2012).