Nel gennaio 2018, un bar situato in viale Japigia è diventato il teatro di una tragica vicenda, un incendio doloso orchestrato come atto di vendetta. L’evento, emerso dalle indagini dell’inchiesta “Codice Interno”, ha svelato un retroscena raccapricciante legato al mondo della criminalità organizzata.

Il cuore della vicenda risiede in un gesto apparentemente insignificante: il titolare del bar, durante l’inaugurazione del locale, ha osato chiedere un euro per un caffè consumato dal figlio di un noto boss locale, Giovanni Palermiti, figlio del capoclan Eugenio Palermiti. Un gesto che, agli occhi del clan, ha rappresentato una sfida intollerabile alla loro autorità.

La risposta al presunto affronto è stata violenta e spietata. Giovanni Palermiti, ritenuto il mandante dell’incendio, ha ordinato l’atto di rappresaglia, mentre Francesco Vessio è stato designato come esecutore materiale. L’obiettivo era chiaro: punire il titolare del bar per l’audacia di aver fatto pagare il caffè al figlio del boss.

Le testimonianze raccolte durante l’inchiesta, provenienti da diversi collaboratori di giustizia, hanno delineato i dettagli di questo tragico evento. Il bar è stato incendiato per rappresaglia, dimostrando la brutalità e la ferocia con cui il clan Palermiti-Parisi ha esercitato il proprio controllo sul territorio.

L’incidente non è stato solo un atto di violenza, ma anche un messaggio chiaro di potere e dominio. Come sottolineato dal gip Ferraro nell’ordinanza riguardante l’aggravante dell’associazione mafiosa contestata, l’incendio rappresenta una dimostrazione di forza del gruppo criminale, un avvertimento per chiunque osi sfidare la loro autorità.

Questa storia drammatica del caffè non pagato e della vendetta brutale che ne è seguita offre uno sguardo inquietante nel mondo oscuro della criminalità organizzata. È un promemoria della necessità di combattere con determinazione la presenza della mafia per garantire la sicurezza e la giustizia nella nostra società.