Francesco Cavallari non era un mafioso: la Corte d’appello di Lecce ha revocato ieri sera la sentenza di patteggiamento a 22 mesi di reclusione nei confronti dell’ex “re Mida” delle cliniche private baresi, morto nel 2021 a Santo Domingo, limitatamente al reato di associazione mafiosa. I giudici hanno, invece, confermato la condanna per i reati di corruzione e falso in bilancio. Per quanto riguarda il capo d’accusa collegato all’associazione mafiosa, la Corte d’Appello di Lecce ha assolto l’imprenditore barese perché “il fatto non sussiste”.

Il motivo della condanna

La sentenza, su cui i togati salentini sono stati chiamati ad esprimersi, era risalente a 27 anni fa: nel 1995, infatti, Cavallari patteggiò una condanna per associazione mafiosa, falso in bilancio, abuso e corruzione, nell’ambito di un procedimento su presunti intrecci tra mafia, affari e politica. La sentenza generò anche la confisca del patrimonio di 350 miliardi di lire che sarebbe derivata, secondo l’impianto accusatorio ‘smontato’ ieri, proprio dal reato di mafia.

“Il campanello d’allarme”

Nel corso degli anni, tutti gli altri imputati accusati di associazione mafiosa nel processo del 1995, sono stati assolti. Le ultime sentenze sono del maggio 2021, con le assoluzioni per  l’ex manager barese delle ‘Case di Cura Riunite’ Paolo Biallo (deceduto nel dicembre 2019) e il boss barese Savino Parisi. Queste assoluzioni hanno convinto i figli di Francesco Cavallari, Daniela e Alceste, ad avanzare domanda di revoca della condanna per mafia. Dopo aver valutato le richieste degli avvocati Gaetano Sassanelli e Vittorio Manes, i giudici hanno rideterminato la pena fissandola ad 1 anno e 4 mesi di reclusione. Una decisione che ha suscitato lacrime e commozione nella famiglia del manager, che tanto l’aveva sognata e non è riuscito ad ottenerla quando era in vita. Il terzo figlio Marco non ha chiesto la revisione ma è chiaro che tutto quello che conseguirebbe in termini legali – in caso di accoglimento – riguarderebbe anche lui.