A.T. è un ragazzo sulla trentina. La sera del 4 era davanti alla pizzeria Da Pelè, Stava per entrare quando è stato avvicinato da uno sconosciuto che gli ha intimato di andarsene, per il suo bene.  Il ragazzo non avrebbe mai potuto immaginare che pochi minuti dopo, il locale sarebbe stato rapinato. Abbiamo raccolto la sua testimonianza e siamo andati sul posto nel tentativo di raccogliere il racconto del personale della pizzeria. Non c’era troppa voglia di parlare. Chi non ha avuto paura di parlare sono stati alcuni commercianti, che invocano più controlli e sicurezza, in una città ormai fuori controllo.

«Ero con la mia fidanzata a pochi metri dalla pizzeria, seduto su un motorino parcheggiato sul marciapiedi, c’era un ragazzo. Non ci ho fatto caso sul momento. Ho proseguito fino all’ingresso del locale. Ci andiamo spesso da Pelè. Siamo stati i primi ad arrivare, aspettavamo altri sei amici, così la mia ragazza ne ha approfittato per andare alla toilette. Io la aspettavo fuori dalla pizzeria, perché all’interno faceva troppo caldo. Una volta all’esterno, quello stesso ragazzo, alto, faccia seria, truce, con il cappuccio della felpa in testa e mantenendo sempre una decina di metri di distanza da me, alza lo sguardo e mi dice: “Sciatavinne da dó, che a va s’ccèd u macidde”.

Io lo guardo, con fare interrogativo e lui mi ripete: “te’ na da scí” e mi fa il segno della pistola con la mano destra. Così sono andato incontro alla mia fidanzata, che era entrata nella pizzeria e le ho detto che dovevamo andare via, con il classico “poi ti spiego”. Usciamo insieme, intanto arrivano tre dei miei sei amici, li chiamo da lontano, ma quel ragazzo, sempre seduto sul motorino, li ferma e intima loro di andare via.

Guardano me, cercando una risposta, ed io dico loro “andiamo, punto”. E via, lontano da quel luogo dove pensavamo che di lí a breve ci sarebbe stata una mega rissa, o peggio, un regolamento di conti. Mancano due amici all’appello, non rispondono al cellulare. Decido di prendere la mia auto e tornare di fronte alla pizzeria. Li vedo dentro, alzo la voce per chiamarli, li faccio uscire e con un altro “dobbiamo andare”, faccio capire che la situazione è seria. Non avremmo mai pensato a una rapina. Quel ragazzo è stato “bravo” a farci intendere una situazione diversa».