Sono trascorsi 5 anni da quel tragico 14 Agosto del 2018, quando il Ponte Morandi, crocevia autostradale importantissimo per la città portuale di Genova, si sgretolava in più pezzi, causando la morte di 43 persone, più di 600 famiglie sfollate e la chiusura coatta di decine di aziende. In questi giorni è in corso al Tribunale della città ligure, il processo ai 59 imputati del crollo, tra i quali l’ex manager di Autostrade e numerosi ex-dirigenti e funzionari del Ministero dell’Interno.

Le udienze che si protrarranno fino al 19 Luglio, sono entrate nel vivo due giorni fa, quando Gianni Mion, l’ex-Ad di Edizione, la holding della famiglia Benetton che controllava Aspi  (Gruppo autostradale per l’Italia) ha dichiarato in aula, con una confessione inaspettata definita dai legali della difesa “inattendibile” , che “tutti erano a conoscenza dello stato del Ponte ma nessuno fece nulla”.

La riunione del 2010

L’anziano dirigente, tra le altre cariche possedute, era consigliere dell’ASPI e della società controllante, Atlantia. In aula è sembrato confuso sulla ricostruzione degli eventi, non essendo in grado di confermare date e dettagli circoscrivibili alle dichiarazioni rese. Tuttavia le informazioni da lui riportate ai giudici, hanno assunto da subito la veste di una gravissima confessione di superficialità e inadempienza agli incarichi da lui e da altri dirigenti ricoperti, molto prima della tragedia. Mion, che non è indagato, ha riferito di fatti accaduti durante una riunione del 2010, ovvero ben 8 anni prima del crollo, durante la quale partecipavano oltre a lui, anche l’allora Amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci, il Direttore Generale di Autostrade, Riccardo Mollo e Gilberto Benetton. In quell’occasione Mion ha detto: “Emerse da parte dei tecnici il dubbio che quel ponte potesse restare su, e davanti alla mia domanda se ci fosse qualcuno che ci certificasse la sicurezza del ponte, Riccardo Mollo mi rispose: ‘Ce la auto-certifichiamo’. Ebbi però la sensazione che nessuno controllasse nulla. Il ponte aveva un difetto originario di progettazione ed era a rischio crollo”.

Un’accusa ben precisa, di una irresponsabilità datata e condivisa. Per altro che non ci sia stata negli anni la giusta manutenzione al viadotto autostradale sul Polcevera, era già emerso con chiarezza nella perizia di 500 pagine depositata nel dicembre 2020 dai periti nominati dal gip: “il ponte è crollato – scrivono gli esperti – perché controlli e manutenzioni non sono stati eseguiti correttamente nel corso degli anni. Dal 1993, data dell’ultimo intervento di manutenzione – prosegue il documento consegnato in Tribunale – non sono stati eseguiti interventi che potessero arrestare il processo di degrado in atto e/o riparazione dei difetti presenti nelle estremità dei tiranti che, sulla sommità del tirante sud (quello poi collassato) erano particolarmente gravi”.

Alla documentazione presente agli atti del processo, si aggiunge, dunque, la diretta testimonianza di Mion che ha detto in aula: “Alla risposta di Riccardo Mollo – sull’auto-certificazione – io, purtroppo, non replicai ma ero molto preoccupato. Cosa vuol dire auto-certificarsi? É una contraddizione in termini. Non condividevo, ma non dissi niente, è un mio rammarico”. Non solo, seppure visibilmente emozionato, Mion, ha continuato: “Visto il tipo di opera, o la verifica un terzo o chiudi il ponte. Ma l’autocertificazione sembrava assurda soltanto a me, nessun altro aveva dubbi di nessun genere. Erano tutti d’accordo”.

Replica dei legali della difesa, contro Mion

Un’ammissione di colpe generale che è stata commentata aspramente dai legali della difesa che in un comunicato di ieri, 23 maggio, hanno affermato: “Mion è inattendibile! Le sue dichiarazioni sono risultate del tutto prive di riferimenti oggettivi e riscontrabili e rese da un soggetto che all’esito dell’esame si è dimostrato inattendibile. L’ex manager durante la deposizione ha definito quella riunione ‘memorabile’, ma di quella riunione ‘memorabile’ non ricordava il giorno, il mese, l’anno, la stagione e neppure i partecipanti”.

Visibilmente emozionato, lo stesso Mion, fuori dall’aula, raggiunto dai giornalisti, appare frustrato e rammaricato tanto da aggiungere: “Avrei dovuto far casino ma non l’ho fatto, non so il perché, forse perché tenevo al posto di lavoro”.

Il comitato dei parenti delle vittime vuole la verità

Egle Possetti, Presidente del Comitato delle vittime del ponte Morandi, che quel maledetto 14 Agosto 2018 ha perso la sorella, il cognato e i 2 nipoti, ha detto che “nel processo per il crollo del Ponte Morandi ci sono state diverse testimonianze che andavano nella stessa direzione di Mion, e cioè si sapeva dello stato del Ponte”. “Il fatto che ora Mion sia considerato inattendibile fa un po’ ridere – ha spiegato -. L’inaffidabilità della persona semmai è dovuta al fatto che all’epoca sia stato zitto anziché denunciare quello che sapeva. Erano perfettamente note le criticità che riguardavano lo stato del ponte”.

Poi ha fatto riferimento alla lungaggine burocratica dei processi aggiungendo: “I processi sono troppo lunghi, abbiamo bisogno di una giustizia più veloce, non sommaria, ma più rapida”.