Accanto a “femicidio” e “femminicidio” (cioè le discriminazioni e gli omicidi in cui una donna viene uccisa per motivi relativi alla sua identità di genere), e “stalking” (quei comportamenti persecutori e violenti verso un’altra persona), si è fatto spazio lo spaventoso numero di donne violate, perseguitate e uccise, per “rabbia, gelosia o raptus”, dall’uomo che giura di “amarle”, in continua crescita: quasi80, in Italia, solo nei primi sei mesi di quest’anno.
Ecco l’ignobile fotografia di una società malata, che ha bisogno di un antidoto per tornare a vivere.
Si è parlato di questo, nel primo giorno di luglio, nella conferenza fortemente voluta dalla Cgil Bari dal titolo “StOpStalking”. Si è discusso dell’urgenza di far approvare in tempi rapidi una legge che tuteli le vittime di stalker. Si è raccontato di atroci violenze subite da donne il cui unico errore è stato quello di amare l’uomo sbagliato.

In una sala gremita, in cui a fare da contraltare e ad ascoltare parole di abuso, prevaricazione, forza e coraggio c’erano anche tanti uomini pronti a testimoniare la loro vicinanza alle donna, sono intervenuti: Pino Gesmundo, segretario generale Cgil Bari; Gianni Forte, segretario generale Cgil Puglia; Valeria Fedeli, vice Presidente del Senato della Repubblica; la testimonial dell’iniziativa la ballerina e soubrette Rossella Brescia, e gli scrittori ed estensori della bozza di legge Lara Cardella e Nicky Persico. Legge che prevede il “Divieto di avvicinamento e contatto” da parte dello stalker verso la vittima (ovviamente, previa verifica di assenza di fenomeni di manifesta infondatezza di tali atti persecutori) entro 48 ore dalla prima denuncia. E che, in caso di violazione di tale direttiva, il persecutore venga arrestato, con confisca delle armi in suo possesso e istituzione di autonoma figura di reato, con un nuovo processo a sé stante.

E a portare testimonianza dalle loro vive voci: Beatrice Monroy e Giovanna Ferrari. La prima, scrittrice e “narratrice”, come lei stessa ama definirsi, ha raccontato la storia, riportata nel libro “Niente ci fu”, di Franca Viola, una ragazzina che a soli 17 anni ha vissuto l’inferno: il 26 dicembre 1965, rapita da uno spasimante respinto, Filippo Melodia, un mafioso siciliano, fu stuprata per otto giorni e costretta a sposare il suo aguzzino perché ormai non più vergine. Se avesse scelto di dire “sì” a quel “matrimonio riparatore”, infatti, secondo l’articolo 544, avrebbe fatto estinguere il reato di violenza carnale (considerato, in passato, oltraggio alla morale e non reato contro la persona) compiuto dal suo aggressore. Ma Franca, contravvenendo alle consuetudini, non accettò questa ulteriore tortura e disse il fatidico “no”, che però le valse l’appellativo di “donna svergognata”. Con coraggio proseguì la sua vita e solo il 5 agosto del 1981, sedici anni dopo la violenza, con la legge 442, viene abolita la facoltà di cancellare una violenza sessuale tramite un successivo matrimonio.

La seconda donna-coraggio è Giovanna Ferrari, madre di Giulia Galiotto, una ragazza di 30 anni uccisa nel 2009, a San Michele dei Mucchietti, da suo marito Marco Manzini che, dopo averla colpita alla testa e gettata dal greto del fiume Secchia, inscena il suicidio della giovane. Solo grazie ad una serie di combinazioni fortuite l’uomo viene scoperto e condannato, in secondo grado, a 19 anni di reclusione. “Nessuno viene ucciso “per amore”. – ha raccontato Giovanna – Ho voluto parlare della tragica storia di mia figlia nel libro “Per non dargliela vinta” (Il Ciliegio edizioni, ndr) perché non ci siano altre Giulia. Perché le avvisaglie, come le chiamo io, ci sono: al primo schiaffo bisogna allontanarsi, denunciare, perché non ce ne sia un secondo. Perché già il primo è ingiustificabile!”.

2 luglio 2013

Mariangela Deliso