In Puglia 3 bambini su 1000 nascono con la displasia congenita dell’anca. Nella nostra regione c’è, infatti, una incidenza più elevata che nel resto d’Italia che segna 1% dei casi diagnosticati alla nascita. L’unità operativa di ortopedia e traumatologia pediatrica dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari è un centro di riferimento regionale per lo screening ecografico di secondo livello ed è l’unico centro dove viene effettuato il trattamento della patologia a 360°.

Cos’è la displasia congenita dell’anca

Si tratta di uno sviluppo anomalo dell’articolazione dell’anca che porta gradualmente la testa del femore a “slittare” sull’anca con conseguenze che, se non vengono corrette subito dopo la nascita, portano alla disabilità. Fondamentale eseguire l’ecografia di controllo e intervenire entro le prime 6 settimane di vita se si vuole garantire al piccolo la migliore possibilità di guarigione. Una displasia non curata può portare ad avere un arto più corto dell’arto, una zoppia o un artrosi molto dolorosa da adulti fino alla necessità di sostituire la parte malata con una protesi.

Come si cura

Nei casi più lievi la cura non è complicata e dà ottimi risultati. Per correggere la displasia dell’anca si impiega un divaricatore che è una sorta di imbragatura, simile a quella per andare in montagna, con due supporti per le cosce che tengono le gambe del bimbo leggermente distanziate e flesse. Questo strumento serve per ripristinare la giusta posizione della testa del femore nell’acetabolo e garantire lo sviluppo corretto dell’articolazione.

Nei casi più gravi c’è la necessità di confezionare un apparecchio gessato preceduto a volte da alcuni giorni di trazione degli arti a letto. Il controllo del corretto posizionamento della testa del femore viene effettuato con la risonanza magnetica. Qualora gli interventi incruenti non fossero sufficienti il piccolo deve essere sottoposto ad interventi chirurgici fino all’osteotomia di femore o di bacino.

La testimonianza di una mamma

Un percorso non facile da affrontare per gli stessi genitori, come testimonia la mamma di Laura che ha colorato di verde il gesso della sua piccola, richiamando una simpatica ranocchia e raccontando per il concorso “Calma e Gesso”, promosso dalla stessa ortopedia pediatrica del Giovanni XXIII, il percorso che ha affronto subito dopo la diagnosi della patologia che non deve essere “vissuta come fosse un tabù o una vergogna da nascondere”. Per supportare le famiglie per lo stress emotivo durante la cura di questa patologia è attivo l’affiancamento del servizio di psicologia dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII.