La storia è fatta a volte di tragiche vicende che si ripetono. E si connotano, talvolta, di aspetti beffardi, assurdi e gratuitamente irritanti. La storia del Francesco padre, purtroppo, rientrare tra queste. Sul peschereccio affondato, perché esploso in circostanze misteriose nel novembre del 1994, si sta allungando l’oscura ombra di una nuova archiviazione.

La prima parte del percorso giudiziario ne descrisse le potenziali dinamiche tratteggiando un quadro a tinte fosche, dalle risultanze che gettavano ombre infamanti sulle vite degli uomini che persero la vita, nonostante l’avversata tesi dei familiari che lamentavano la fragilità delle tesi e la contraddittorietà delle prove. Ha aleggiato per interminabili anni il dubbio di affari illeciti e la causa dell’esplosione a bordo collegata al trasporto di supposti esplosivi o armi. Nonostante gli sforzi e la ferma opposizione ci fu l’archiviazione.

Il silenzio e la vergogna per anni hanno coperto e quasi soffocato anche il bisogno di verità. Poi è accaduto che abbiamo pubblicato Nato: colpito e affondato. La tragedia insabbiata del Francesco padre con una ipotesi che ricostruiva i fatti in maniera diversa. 14 anni dopo finalmente uno squarcio nel buio dell’oblio, uno spiraglio a cui aggrapparsi. L’autore Gianni Lannes ipotizzava e documentava la presenza casuale del peschereccio, la notte tra il 3 e 4 novembre 1994, in una zona di esercitazione della Nato. Colpito per sbaglio, il Francesco padre, e poi fatto affondare probabilmente per nascondere le prove.

Un libro, ci dicemmo allora con l’autore e i familiari, può forse servire a cercare ancora, a capire, a spiegare. Noi, pubblicandolo, volevamo facesse una sola cosa: risvegliare l’attenzione della città e della sua comunità in modo che si riaprisse il caso. Ed è accaduto. Il lavoro della Procura di Trani è stato eccezionale. Ha incalzato le difficoltà oggettive: mancanza di fondi, mancanza di reperti, il tempo passato senza nessuna novità. Il Comitato nato dai familiari e dai cittadini ha interloquito e costantemente collaborato con la Procura. Periti nominati dalla Procura e periti e avvocati scelti dai familiari sono oggi convinti di aver provato altro. La verità è venuta fuori grazie a un reperto: una scheggia di legno fragile, sopravvissuta alla corrosione del mare e del tempo, conservando intatto e chiaro il foro di un proiettile. Colpita e dunque affondata in quella notte la barca con a bordo i 5 marinai molfettesi e il cane Leone che li accompagnava. La ricostruzione del libro, oggi, sta in piedi ritta, di fronte ai fatti, e sopravvive con tenacia al vento degli anni.

E ora? La Procura si è mossa chiedendo, attraverso rogatorie internazionali, informazioni dettagliate e precise su aspetti che potrebbero fare definitivamente chiarezza ma le risposte, laconicamente e tragicamente, in sostanza non sono arrivate. E quando le risposte non arrivano, c’è un tempo tecnico oltre il quale la decisione che la Procura sarà costretta a prendere è una sola: archiviazione.

Un’ombra nera, un angosciante timore. La rabbia che prende quando le vite di persone semplici si imbattono nelle Storie dove gli Stati, con le loro politiche e i loro segreti, come fossero piccole pedine di uno scacchiere del Risiko. Ma questo non era un gioco, ed era vera la pelle dei cittadini. Cosa è successo davvero quella notte? Non si può morire perché per errore si è affondati da qualcuno, quello stesso qualcuno che dovrebbe invece difenderli, i popoli e i cittadini come Giovanni, Luigi, Saverio, Francesco, Mario che su quella barca erano per lavorare, per guadagnarsi il pane per se stessi e per i loro cari.

Una nuova Ustica, qualcuno ha detto. È così. Un altro Cermis. È così.

Questa volta non si può restare in silenzio. Noi vogliamo provarci a trasformare la rabbia di questo momento, il timore che l’imponente lavoro di investigazione e ricerca si trasformi in uno sforzo inutile. E vogliamo mutarne così il senso e l’energia, trasformandolo in una forza che invece cambi il corso delle cose. Quel corso che potrebbe portare all’archiviazione.
Come casa editrice e come comitato Francesco padre: verità e giustizia, il 6 settembre di quest’anno, alla vigilia della Festa di questa città, vorremmo portare la storia del Francesco padre nelle piazze, sul mare, nelle strade di Molfetta.

C’è bisogno ora di una grande e partecipata mobilitazione della città che sensibilizzi chiunque può fare qualcosa. L’opinione pubblica, la politica nazionale e internazionale, la diplomazia, affinché, sostenendo e partendo dal lavoro della Procura, chieda e ottenga risposte. C’è bisogno che i fatti accertati dalla Procura siano supportati ora da azioni concrete che ne impediscano l’archiviazione per mancanza di risposte.

Per questo vorremmo avere accanto quel giorno, protagonisti, ognuno nella sua professione, mestiere ed arte, ognuno con la propria passione, con il proprio talento, con il proprio numero di relazioni e contatti in città e fuori città, tutte le associazioni, gli artisti, gli imprenditori, gli artigiani, gli intellettuali, gli amministratori, i semplici cittadini.

Immaginiamo una città dove le strade, le piazze, i condomìni, gli esercizi commerciali, le parrocchie, le associazioni insieme trasformino l’indignazione in richiesta. Ognuno con la propria azione che coinvolga, faccia conoscere i fatti, si faccia eco di una richiesta di risposte certe.

La Redazione