Quando la mia amica della FIFA esce dalla porta degli spogliatoi mi fa l’occhiolino e mi fa segno di seguirla. Pochi metri e, lontano dagli occhi indiscreti di chi potrebbe rompere le scatole, mi consegna la sciarpa con l’autografo di Ronaldo.

Certo, se CR7 avesse saputo che il Portogallo sarebbe stato eliminato dall’Uruguay dopo un paio di ore, forse quell’autografo non lo avrebbe fatto ma la fortuna ci ha assistito.
E dopo Kiev quando è stata accanto alla coppa, ora l’abbiamo fatta tenere tra le mani di una icona del calcio come Ronaldo.

Il mondiale, per la sciarpa, finisce qui. Ora ci vogliono più di 5 giorni di viaggio per uscire dalla Russia e circa 3 per arrivare in Italia con i 6 mezzi che Videobank ha impiegato.
Una bella avventura, quella dei mondiali, che ti permette di incontrare varie culture in una babbele colorata che starei a guardare per ore.

E se, sulla piazza Rossa abbiamo incontrato partite improvvisate tra tifosi che poi abbiamo rivisto a ridere insieme in birreria, così abbiamo incontrato l’iraniana Najmeh Jafarifar che per il calcio ha levato il suo hijab dicendomi «in Iran le donne non posso entrare negli stadi, io ho vinto il mondiale».

È stato un mondiale delle sorprese, dove le squadre meno blasonate hanno proseguito e quelle più quotate si sono fermate, dove Messi e Ronaldo hanno fatto brutta figura e dove il portiere dell’Islanda Halldorsson che fa il videomaker di professione ha fatto miracoli.
Certo, la birra è scorsa a fiumi, ma si è respirato molta empatia tra le persone, molto tifo, molta passione. Famiglie che erano allo stadio, nessun problema di sicurezza, nessuna rissa, solo calcio, cialcio vero, calcio autentico.

Abbiamo steso circa 15km di triax (il cavo specifico delle telecamere) ed altrettanti di fibra per l’audio nei 3 stadi (Sochi, Mosca e Saransk) dove siamo andati. Abbiamo percorso circa 5000km dalla prima partita, abbiamo sudato per i 38 gradi, abbiamo dormito male per colpa di un sole che sorge alle 3 della mattina, abbiamo avuto difficoltà con la lingua e con una cultura assolutamente diversa dalla nostra. Ma questo è il lavoro di un tecnico televisivo, che mette da parte da parte ogni problema perché all’ora stabilita, non dopo, deve andare in onda.

La sciarpa si sta riposando nello zaino: è partita la corsa all’accaparramento di chi la vuole. Mio figlio Marco no perché non ama il calcio (amore di papà) ma tante altre persone la pretendono. Finirà nel mio armadio sopra la pettorina che Fatima, la producer della televisione portoghese, mi ha regalato. Non è il pass e neanche il laccio che mi ricorderanno il mondiale. Sarà “la Bari” che dal prossimo campionato, ogni volta che scenderà in campo, mi ricorderà il Mondiale di Russia.