Sochi è un po’ la Torre a Mare della Russia: una cittadina turistica affacciata sul Mar Nero con hotel moderni dove alla reception non parlano inglese, con stazioni del treno muniti di sistema contieni-deflagrazione per eventuali bombe, con stabilimenti balneari di tutto rispetto, un autodromo per la Formula Uno lungo 5853 metri, quarto per lunghezza nei circuiti simili, ed ultimo lo stadio Olimpico Fišt dove il Portogallo ha giocato la sua prima partita contro la Spagna, orfana dell’allenatore perché interdetto dalla Fifa.

Arrivare allo stadio non è stato complicato, entrare con i mezzi televisivi invece ha richiesto un’ora per il primo controllo e tre ore per il secondo, con ogni piccola cassa aperta ed etichettata: questa procedura avverrà per ogni stadio.

Ma i mezzi possono essere accompagnati solo dagli autisti, gli altri passano dei gate di controllo dove il pass viene autenticato con il QRCode salvo poi un poliziotto che confronta la foto con il viso. E poi un passaggio sotto il metaldetector, una perquisizione manuale, gli zaini aperti ed il cellulare acceso per essere sicuri non sia un ordigno.

Il livello di sicurezza è alto, forse perché l’Isis ha minacciato Putin di fare una strage o forse proprio perché la mentalità russa prevede una militarizzazione di ogni cosa. Ma una volta dentro, il protocollo è naturale con postazioni ben assegnate e delegati oppure volontari FIFA che vengono ad aiutarti se ne hai bisogno.

Il passaggio dei cavi video è semplice ma lungo, ci vogliono un paio di ore per allestire l’impianto e testarlo prima che la centrale video di Lisbona ci dia conferma che tutto vada bene.

Io sono alla postazione Pitch, il bordocampo, dal lato sinistro, quello del Portogallo. I visi dei colleghi sono gli stessi che vedo ad ogni partita di Champions League, siamo quasi una famiglia anche se non conosciamo i rispettivi nomi.

Gianni Daniele è invece alla radiocamera, tentando di intervistare i tifosi, mentre Nicola Scaringi alla postazione Mix, quella delle interviste. Le prove delle coreografie durano due giorni, i briefing con i tecnici della regia internazionale che gestisce le 25 telecamere oltre la Var per l’arbitro, fanno avanti diverse ore.

Noi alterniamo momenti frenetici con momenti tranquilli, ognuno nella sua postazione pronto in qualsiasi momento a cambiare il programma prestabilito perché poi, il nostro lavoro spesso è un cubo di Rubik.

Tiro fuori la sciarpa per la foto di rito, quella benaugurale, mi metto a bordo della pitch ed il collega scatta una foto. Questa volta non la metto intorno alla telecamera perché non sono previste integrazioni durante la partita, la è sempre nello zaino pronta magari ad essere messa al collo a Ronaldo pure se, nel caso riuscissi a farlo, la Fifa chiederebbe la mia testa su di un piatto d’argento.

Il Portogallo era partito bene, un rigore di Ronaldo aveva acceso la speranza di una vittoria schiacciante ma la palla è tonda: un pareggio 3 a 3 rende comunque interessante il match.
Ora ci attende Mosca, un viaggio via terra di 1800 chilometri su autostrade che non sono autostrade, dove i limiti di velocità sono bassi anche se il rischio di un camion davanti è invece elevato.

Partiamo subito dopo la partita, dopo l’allestimento, perché abbiamo dei tempi da rispettare. Abbiamo ancora 2 partite avanti a noi prima di capire se il Portogallo proseguirà il suo cammino nel mondiale e con lui, la sciarpa del Bari.