Una donna urla, si dimena all’ingresso di Palo del Colle. Le avrebbero rubato il cellulare, ma nasconde un evidente malessere, scatenato senza dubbio anche dalla costrizione che come tutti vive in questo momento di quarantena. Alcuni individui, assembrati tra loro e apparentemente senza un motivo valido, riprendono la follia di quel momento, sghignazzano e si divertono, pur nascondendosi dietro quel che resta di una dichiarazione pietistica di facciata. L’episodio ha scatenato commenti e indignazioni varie, ma soprattutto le considerazioni di alcuni specialisti. Di seguito riportiamo quella della psicoterapeuta Floriana della Guardia, originaria proprio di Palo del Colle.

Nel momento in cui tutti poniamo attenzione alla salute fisica, al rischio di essere contagiati dal coronavirus, ci sono persone fragili o che lo stanno diventando nel silenzio, nella castrazione. Nell’impotenza stanno perdendo la capacità di contenersi, inibire i propri comportamenti. Ogni problema li agita e perdono i confini dell’io proprio in considerazione della quarantena a cui siamo sottoposti.

A questo mi riporta ciò che è accaduto ieri a Palo del Colle. Queste persone hanno perso riferimenti affettivi, sociali, sanitari, servizi psichiatrici pressoché fermi, studi di psicoterapia e riabilitazione chiusi. I ricoveri ospedalieri sconsigliati, piani terapeutici prorogati e si potrebbe continuare con l’elenco delle limitazioni. Nell’invisibilità si corre un gran rischio di morte sociale, affettiva, relazionale.

L’angoscia e la paura la fanno da padrone. La sensazione di impazzire e morire è molto forte. Se, come insegno nella scuola di specializzazione per futuri psicoterapeuti, provassimo a chiudere gli occhi e sentire, far salire un ricordo angosciante, di sofferenza e provassimo ad inspirare ed espirare velocemente, convulsamente, sperimenteremmo davvero come possa essersi sentita ieri quella donna mentre alcuni individui, ignari di ciò che stavano riprendendo e soprattutto ciò che quella donna provava in quel momento.

Questa quarantena avrebbe dovuto contribuire a sviluppare empatia verso le situazioni di malessere, le sensazioni di minaccia alla propria esistenza e invece ci ritroviamo ancora ad assistere a scene di ordinaria follia, non solo nel nostro paesello. Siamo incapaci di sentire il dolore dell’altro. Sono dell’idea che nella formazione scolastica, familiare e sociale dei nostri connazionali, concittadini, manchi l’educazione alla “morte”, una parola che si cerca di non nominare mai. Sofferenza ed empatia sono tutte abilità che sarebbero state molto utili in questo momento. Avremmo dovuto avere tutti nella nostra valigetta della sopravvivenza questi strumenti emotivi utili ad affrontare con responsabilità, aderenza alla realtà, solidarietà sociale ed empatia questa pandemia.

I risultati di questo momento storico, per chi sarà capace di vederli, saranno chiari nella vera ripresa, quando guardandoci indietro vedremo quanta gente abbiamo lasciato a soffrire nel generale silenzio.