Ogni anno nel mondo le mine anti uomo causano migliaia di vittime, per la maggior parte si tratta di bambini. Una strage che in qualche modo si cerca di fermare. Proclamata dall’Onu, dal 2005 il 4 aprile è la Giornata internazionale contro le sub munizioni e le mine anti uomo.

L’Italia riparte dal disegno di legge 57bis per contrastare il finanziamento alle aziende che le producono, già pronto ma non calendarizzato dal Senato per lo scioglimento delle Camere: “Quando avremo il nuovo Governo – ha detto Giovanni Lafirenze, responsabile del Dipartimento Ordigni Bellici Inseplosi – non credo che ci saranno problemi per la sua approvazione”

A Bari la giornata è stata celebrata oggi nell’Aula Magna dell’Istituto Elena di Savoia. All’evento, organizzato dall’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra con il Patrocinio della Città Metropolitana di Bari e del Comune di Bari, c’erano Sebastiano Nino Fezza, ex cinereporter Rai nei teatri di guerra, gli storici Michele Carrera e Andrea Di Marco, Letizia Carrera, docente del Dipartimento Studi Umanistici dell’Università di Bari, Santa Vetturi, Presidente dell’associazione Virtute e Canoscenza, Enzo Potenza, del Dipartimento Ordigni Bellici Inesplosi.

A raccontare la propria esperienza c’era anche Vito Alfieri Fontana, già responsabile per l’Ambasciata Italiana dello sminamento in Bosnia, uno tra i più importanti sminatori italiani addetti alla bonifica bellica che ha trascorso 12 anni nei Balcani alla ricerca degli ordigni disseminati praticamente ovunque, presente nei principali ex teatri di guerra  cui ha dedicato oltre metà della sua vita al servizio degli altri, costantemente faccia a faccia con la morte.

“Far ripartire una nazione è estremamente difficile – ha detto Fontana – c’è una rovina pressoché totale delle infrastrutture, ciò che noi reputiamo normale, come l’accesso all’acqua, ai pozzi, all’energia elettrica, è impedito da ordigni micidiali come le mine”.

“Quando si esegue una bonifica – ha aggiunto Fontana – non bisogna avere fretta. Difronte all’enormità del problema sembra che non ci sia soluzione e c’è la smania di agire, invece bisogna fare con calma. In Bosnia ci abbiamo messo vent’anni”.