Metti una mattina ai Servizi Sociali in via Garruba, pieno centro di Bari, con tutte le difficoltà del caso per arrivare nel cuore della città, trovare parcheggio, perdere una mattinata di lavoro che a stento, quando va bene, ti fa portare a casa 10 euro, e poi metterti ad aspettare il tuo turno. Ti chiami Morris Del Basso e santi in paradiso non ne hai.

Una lunga attesa, nonostante l’appuntamento fissato. Se sei qui, vuol dire che non te la stai passando bene. Come il tuo, sono tutti casi “disperati”, richiedono tempo. Ci vuole pazienza, quella che, dopo anni di lotte e proteste, durante i quali ti sei sentito dire che non ci sono fondi o soluzioni, non hai più.

Quando finalmente arriva il tuo turno, prima ascolti con calma, poi sbotti. E inizi a gridare, gridare più forte che puoi perché, forse, speri che alzando la voce le tue ragioni siano più forti della burocrazia, siano più forti delle convinzioni su cui si basano gli assistenti sociali nel proporti cose che non vuoi sentire, tipo mandare la donna della tua vita e i tuoi figli in comunità, separandoli da te anche se ti dicono che potrai vederli quando vuoi e che quella, l’unica cosa possibile in questo momento, è la cosa migliore per la tua compagna, incinta all’ottavo mese, e per i piccoli.

Volano parole grosse, l’aria si fa molto tesa, l’unica vigilessa presente ha il viso preoccupato, perdere il lume della ragione è un attimo, ma per fortuna, o per indole chi lo sa, non succede.

Dopo quasi tre ore te ne vai, senza aver risolto niente, con il rinnovo della domanda per un sussidio temporaneo, quando e se arriverà, che non è la soluzione. Tu hai bisogno di un lavoro per dar da mangiare alla tua famiglia, e una casa, ma non ci sono né l’uno né l’altro, e non è ai servizi sociali che te li possono procurare.

Torni a casa, in tasca il referto del 118, perché la tua compagna è stata male per l’agitazione, e col grosso interrogativo di cosa dare da mangiare a tutti quanti. In bocca al lupo Morris.