Sembra che in questo momento sia in grande vantaggio l’instabilità. Dopo un lungo periodo covid, i cui effetti sono solo appena affiorati, si innesta la precarietà della guerra che alimenta il forte senso di destabilizzazione. Sospesi prima di decidere, per poi non decidere e abbandonarsi alla dimensione del divano; da lì il mondo fuori scorre in tv, sui tablet e sul piccolo schermo degli smartphone. Insomma un mondo completamente ristretto, rispetto al dilagare delle nostre rappresentazioni di paura. Il termine di impigrimento cognitivo, motorio, della ideazione creativa si ferma in un orizzonte corto che non ha futuro. La percezione di non sentire un futuro giustifica la non azione. Perché bisogna andare a scuola e studiare? Perché bisogna investire in lavoro o in una attività che una decisione esterna a noi può spazzare via? E poi la crisi di un dittatore ci fa pensare che se la follia alberga in chi governa, allora è facile giustificarla in chi si sente nella scala della società solo un partecipante. Come sentono i Russi? Come soffrono gli Ucraini? Domande queste che ci aprono a risposte che a volte ci allontanano dal nostro sentire. Se il conflitto e il disagio che stanno vivendo negli scenari di guerra fosse capitato a noi quale modalità psicologica saremmo stati capaci di attivare? Domande che sembrano molto difficili, ma il nostro inconscio le traduce in comportamenti che spesso sottendono la rinuncia, l’impotenza, l’inutilità di pensare ad un futuro schiacciato tra malattie e follia umana, il covid e la espansione maniacale di un dittatore.

Avete mai riflettuto su come spesso le nostre abitudini siano cambiate e di come il muoversi, forse alle volte eccessivo, sia diventato un fermarsi eccessivo? Ma la nostra turbolenza interiore nessuno la legge, e i guru infelici, gli esperti sempre pronti a sapere, prima i virologi, oggi gli esperti di strategie belliche, ci tolgono ogni autonomia critica. In altre parole pensiamo in proprio, non affittiamo idee rese autorevoli dai media che ne sanno qualche volta meno di noi e che a volte e ci confondono, facendoci navigare tra il tutto e il contrario di tutto. Allora deleghiamo pure il pensare a chi lo fa per noi, peggio di noi, ma con l’ illusione percepita che si tratti di un esperto. Il mondo degli esperti ci ha tolto il senso critico del pensare, dell’agire, sbagliamo se facciamo cose che non ci sono consigliate e nel momento in cui pensiamo di aver capito dobbiamo cambiare, perché ci viene il dubbio di non aver capito. Pensate ad un adolescente già in preda alle sue incertezze, ad un adulto carico di responsabilità, quali reazioni hanno? Alimenta la paura che deflagra dentro. Il sentire primario passa attraverso il corpo, tutto si trasforma poi in sintomi, nonostante la mente faccia di tutto per non farci percepire emozioni spiacevoli. Cosa fare? Noi pensiamo che non sempre bisogna fare qualcosa, ma se qualcosa dobbiamo farlo riprendiamoci la responsabilità di sbagliare, perché tanto nulla si ferma e nulla è fermo, ma noi siamo i veri protagonisti del sentire, delle nostre scelte sempre con una supervisione che per chi crede è di Dio, per chi non crede è del caso.

SAVERIO COSTANTINO, Psicologo-Psicoterapeuta