Il governatore della Regione Puglia Michele Emiliano.

È iscritto al Pd, partecipa alla vita di quel partito in “forma sistematica e continuativa”; ma, comportandosi in questo modo, visto che è ancora un magistrato, ha compiuto un illecito disciplinare, perché ha violato la norma che vieta alle toghe di fare vita attiva nelle formazioni partitiche.

È l’accusa da cui dovrà difendersi il presidente della Regione Puglia e probabile sfidante di Matteo Renzi alla guida del Pd, Michele Emiliano davanti alla Sezione disciplinare del Csm. Il processo, di cui lo stesso governatore ha parlato in una recentissima intervista, è stato fissato per il 6 febbraio prossimo.

Nell’atto di incolpazione si evidenzia che Emiliano durante i mandati prima di sindaco di Bari (dal 2004 al 2014), poi di presidente della Regione Puglia (dal giugno 2015 a ad oggi) ha ricoperto contemporaneamente gli incarichi di segretario (dall’ottobre 2007 all’ottobre 2009 e poi dal 2014 ad oggi) e di presidente (dal novembre 2009 al gennaio 2014) del Pd della Puglia.

“Sono l’unico magistrato nella storia della Repubblica italiana – risponde alle accuse Emiliano – eletto democraticamente dal popolo come Presidente della Regione, al quale la Procura generale della Cassazione contesta l’iscrizione ad un partito politico, nonostante non svolga le funzioni di magistrato da 13 anni causa l’espletamento di mandato elettorale”.

“In questi 13 anni – prosegue – ho sempre fatto politica all’interno di formazioni politiche assimilabili a partiti politici, prima liste civiche e poi nel PD a partire dal 2007. L’ho fatto sin dall’inizio richiedendo l’aspettativa anche se la legge non mi obbligava a farlo. L’aspettativa infatti serviva a far cessare l’esercizio delle funzioni ed a rispettare il divieto di iscrizione ai partiti per i magistrati”.

“Ho avuto per questo – continua Emiliano – un blocco di carriera che avrei evitato se avessi scelto di rimanere in servizio come la legge mi consentiva. Secondo la teoria accusatoria dunque esisterebbero due tipi di politici in Italia. Quelli che una volta eletti dal popolo hanno il diritto di costruire la politica nazionale dentro i partiti ai sensi dell’art. 49 della Costituzione, che recita ‘Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale’. E quelli, che possono sì essere eletti, ma devono rimanere da soli, senza la possibilità di fare politica in partiti o gruppi parlamentari di partito”.

“Tra questi ultimi – conclude Emiliano – ci sono solo i magistrati. Che dovrebbero dunque farsi eleggere senza candidarsi in liste di partito o iscriversi a gruppi parlamentari. Che differenza infatti vi sarebbe tra una tessera di partito e la candidatura in un partito o l’iscrizione ad un gruppo parlamentare? Non temo dunque il giudizio del CSM al quale mi rimetto con fiducia”.