Terremoto politico al Comune di Bari. Pasquale Finocchio, vicepresidente del Consiglio Comunale, non è più a capo del Gruppo Misto. Incarico acquisito non per condivisione, ma perché il Regolamento comunale stabilisce che la guida sia affidata al più anziano. Con i voti di De Ilaria Robertis, Irma Melini e Michele Caradonna, quest’ultimo diventa il nuovo capogruppo.

Voci raccolte nei corridoi al secondo piano di Palazzo di Città raccontano di un atto arrivato al culmine di una situazione giudicata intollerabile. Sempre più colleghi, infatti, giudicano ormai l’anziano Finocchio una stampella del PD. A quanto pare una condizione facilmente verificabile dando una scorsa a votazioni, atti, interventi e verbali consiliari. Non parliamo di favorire il partito di Renzi e Decaro, ma quantomeno da parte dell’ex esponente cittadino di spicco di Forza Italia, ci sarebbe l’intenzione di non ostacolarlo.

Certo, a sentire i tre componenti del Gruppo Misto, la versione ufficiale è un’altra. L’elezione di Caradonna è stata decisa per dare una nuova organizzazione al gruppo che, formato da consiglieri di origine diversa, ha cercato una guida unitaria e non semplicemente imposta dalle regole. Così facendo, i tre sperano di poter evitare la deriva delle idee e delle posizioni, dando al tempo stesso un maggiore peso politico al Gruppo Misto.

Ad onor del vero, va detto che la votazione che ha portato all’elezione di Caradonna, a differenza della riunione carbonara al termine della quale è stato defenestrato Sciacovelli da “Decaro per Bari”, è avvenuta in seguito a una regolare convocazione tramite mail pec, oltre che direttamente per bocca dello stesso Caradonna, in modo da discutere sulla scelta di un nuovo capogruppo. Finocchio e Romito, però, non hanno partecipato a quella che si preannunciava come una resa dei conti.

Ad avvalorare la tesi del terremoto politico a Palazzo di Città, poi, si aggiunge una circostanza molto particolare. La consigliera Melini ha presentato oggi una richiesta di seduta monotematica per l’emergenza alluvioni, dopo gli allagamenti che hanno interessato la città, oltre che per discutere del contratto di servizio Amiu da rinnovare. Perchè la richiesta di convocazione di un consiglio straordinario venga accettata, occorre la firma di otto consiglieri, ma Melini ha chiesto a tutti i colleghi di firmare, soprattutto vista la particolare importanza dell’argomento.

L’atto raccoglie dieci firme. Oltre a quella di Melini (Gruppo Misto), prima firmataria, c’è quella di Picaro, Ranieri e Sisto di Area Popolare, i due 5 Stelle, Colella e Mangano, poi De Robertis, Romito e Caradonna del Gruppo Misto (non firma Finocchio), e ultimo ma non per ultimo Mimmo Di Paola di Impegno Civile per Bari. Insomma, tutta l’opposizione tranne Mechiorre (Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale) e Carrieri, di Impegno Civile per Bari.

La mancata firma di Melchiorre e Carieri che pure nel passato, persino recentissimo, hanno sempre aderito compatti alle iniziative dell’opposizione, è un atto voluto. Tanto più che Carrieri è capogruppo del movimento che porta il nome di Di Paola nel simbolo, e se all’interno del movimento, il capogruppo non firma e il consigliere col nome nel simbolo sì, questo dà la misura di come Impegno Civile per Bari non sia un partito o un movimento politico, ma un gruppo che ospita consiglieri interdipendenti e autonomi. Insomma, un atto di riconoscenza a Finocchio, per quanto fatto nel centrodestra barese, seppure sempre più insistentemente la fantapolitica lo accosti al Partito Democratico.

Tutto questo apre scorci su uno scenario ancora più particolare all’interno del Comune, in cui, come per la “politica dei due forni” di socialista memoria, si è sempre più in difficoltà nel cercare quale sia effettivamente la maggioranza e l’opposizione, con passaggi continui, anche tra partiti della stessa opposizione, o con posizioni ambigue di presunti appoggi dati dall’una o dall’altra parte. Una politica di la monge e la ponge che trasforma consiglieri e partiti in pedine su uno scacchiere in cui a muoversi sono anche le caselle. La cosa che più sconcerta è che all’interno di Palazzo di Città in pochi si siano accorti di essere diventati lo zimbello dei cittadini, persino di quanti non hanno difficoltà ad ammettere il nome del candidato votato alle scorse elezioni.