Nella bio si legge: Nick the Freak è un fuoriuscito musicale. Inevitabile pensare al libro Jack Frusciante è uscito dal gruppo: anche Nick ha saltato il cerchio?
“Non è così semplice…il salto fuori dal cerchio non l’ho fatto, perché sono ancora coinvolto con piacere in una serie di progetti musicali. In più, avevo l’esigenza di realizzare qualcosa di mio, ho tanti pezzi chiusi nel cassetto da anni e che sto cercando di tirare fuori, insieme naturalmente ad un sfogo nei live, perché non credo più alla discografia. Ho messo qualcosa on line e c’è stata per ora una buona risposta, sia di amici che non…fuoriuscito musicale perché mi piace pensarla così, come qualcosa di diverso da quello che c’è in giro al momento nel music business. Lo sai come funziona, partecipi a dei bandi per avere fondi da spendere in promozione o negli uffici stampa, io voglio fare questa cosa in maniera totalmente autonoma, non mi piace che vangano utilizzati soldi pubblici nella musica. Secondo me devo essere investimenti tuoi o di privati che credono in te…”

…stai dicendo che non parteciperai mai ai bandi di Puglia Sound?
“Io personalmente no, infatti sto cercando qualcuno che mi aiuti perché sono sempre stato quello operativo che si attivava per procurare i concerti e cose simili, detto senza alcuna polemica sia chiaro. Lo farei se fosse un bando per…che ne so…dieci concerti in giro per l’Italia…per carità, è una cosa bellissima che ci sia, ma a me non piace avere marchi sulla mia musica. Vorrei provare a fare le cose in maniera diversa”.

Come mai ci sono voluti 10 anni per dare vita a Nick the Freak?
“Prima ero molto più impegnato con i Modaxì, per cui la mia vena compositiva è venuta fuori tardi, come pure ho iniziato a cantare da poco tempo. Anche per la genesi dei pezzi in realtà, sono venuti fuori in maniera molto spontanea e mi sono sempre ripromesso di aggiustarli, di amplificare, di arrangiare…poi a un certo punto mi sono detto che vanno bene così, quello che dovevo dire l’ho detto, la forza dei pezzi deve essere proprio il fatto che non c’è tutta la solita produzione dietro e lo si capisce anche dal linguaggio molto colloquiale che uso, a volte sgrammaticato”.

Ascoltando i tuoi brani si sente l’atmosfera anni ’50, vintage se vogliamo. I suoni di oggi non ti soddisfano?
“Si mi soddisfano, solo che volevo dei suoni molto più crudi, l’alta definizione è una cosa bellissima però ha bisogno di mezzi tecnici che non ho, questi pezzi li ho registrati tutti io: voce, chitarra, basso, solo per la batteria ho chiamato Nicola De Liso dei Folkabbestia. Non volevo andare in uno studio di registrazione per non avere dopo una cosa iper-definita. Poi io non riesco a sentire troppa roba nuova, sono legato culturalmente a certi suoni, quando i miei coetanei ascoltavano i Nirvana io sentivo i Beatles, automaticamente ho quelle cose in testa”.

Hai fatto parte dei Modaxì, di cui porti ancora il nome su Facebook. Perché si è chiusa quell’esperienza così importante, se si può dire?
“Si è conclusa per i tempi, dopo quasi dieci anni che suonavamo in giro. È stata  l’esperienza in cui ho capito come funziona veramente un gruppo, come comporre un pezzo, siamo tutti cresciuti insieme. Dopo gli ep, dopo il disco, eravamo al punto in cui o facevamo il grande salto oppure…questa cosa non è successa, aggiungi che uno si è sposato, uno ha trovato lavoro là, un altro lì, pian piano abbiamo smesso di suonare e di cercare live, la cosa è scemata, anche se…è un’esperienza a cui sono legatissimo, essendo amanti della musica abbiamo sperimentato di tutto. Girammo un video con i ragazzi dell’Accademia di Enziteto, loro hanno fatto carriera e noi ci siamo sciolti -ride- firmammo il contratto con la Emi per un singolo. Ora siamo già la vecchia scuola, ma nel nostro giro di gruppi fummo tra i primi a fare molte cose e il bello di Bari è che è piena di band”.

Quanto mancano i Modaxi alla musica barese?
“Non lo so…noi avevamo un approccio molto ironico alla musica…non lo devo dire io, certo ci sono in giro molti fans, diciamo così, è brutto da dire, ma sembra quasi che ci credano più loro -scherza- noi ci siamo un po’ rotti le pa**e di certe situazioni che non ti gratificano. L’ambiente non ti sostiene, purtroppo, anche se dovrebbe, nella realtà è il gruppo che deve fare tutto da solo. Diversi amici musicisti si lamentano magari perché non suonano, che ne so, allo Sziget per esempio, ma se loro per primi non si propongono…non c’è da aspettare che le cose capitino, ti devi dare da fare. Penso che non ci si debba lamentare, c’è un giro bellissimo e noi Modaxì ne siamo usciti. Io sto cercando di rientrarci, mi piace proporre sempre qualcosa di nuovo anche se, sono convinto, dovessimo fare un concerto con i Modaxì, la gente vorrebbe risentire quei pezzi. Con il gruppo è mancato questo rinnovamento, non siamo stati capaci di guardare più avanti, sbagliando”.

Quando hai iniziato a suonare tu, di musica indie non si parlava affatto. C’era già in qualche modo secondo te?
“Assolutamente. A parte che non mi piacciono le definizioni di genere, se indie vuol dire un gruppo che registra il disco da solo senza pagare una major, ma sai quanti ce ne sono! Siamo tutti indie, lo erano anche i Nirvana. È un fenomeno di moda che esiste pure nella musica. Non so chi decide, a un certo punto qualcuno stabilisce che deve andare certa roba. Quello che ho notato, è la tendenza a ridurre sempre di più, per abbattere i cosi, ora vanno tutti in giro con chitarra e cassa e volevo farlo anch’io. Quando me ne sono accorto ho fondato i BUM, un gruppo di 15 persone che va esattamente contro queste logiche del denaro”.

Proviamo a sfatare un mito. Lavori come tecnico live, quindi hai l’esperienza per rispondere: è vero che fonici e musicisti non vanno d’accordo?
“Secondo me si può sfatare. In realtà dipende molto dalle situazioni e dal carattere delle persone. C’è una battuta nell’ambiente, il cantate si rivolge al fonico e gli dice: questa monitor fischia. E il fonico: se eri bravo ti applaudiva. Ho visto fonici impazzire al mixer e sudare mentre i musicisti scleravano, bisogna anche capire le situazioni in cui ti trovi, c’è gente che pensa di essere a Wembley e invece è alla sagra della porchetta. Ho la fortuna di lavorare con Caparezza o gli Apres La Classe, con cui si è instaurato un bel rapporto soprattutto umano, però c’è gente vuol fare la rock star a tutti i costi senza poterselo permettere. Avendo girato tanto, dal 1° Maggio all’MTV Day, ho imparato a gestire diverse situazioni e mantenere la calma, se un microfono non funziona è inutile che ti agiti anche perché il pubblico se ne accorge”.

Gestori e musicisti hanno gli uni bisogno degli altri però interessi diversi, spesso sono in contrasto per questo. Hai cambiato punto di vista da quando gestisci un locale?
“Mi metto sempre dalla parte dei musicisti, cerco di fargli trovare la migliore situazione possibile, però è difficile. Cerco di fargli trovare l’impianto, di dargli da mangiare e da bere, per fortuna lavoro con tanti amici e hanno l’intelligenza di capire. Il mio obbiettivo per l’anno prossimo è avere una batteria in pianta stabile, in modo da suonare praticamente ogni sera, anche di potermi mettere io tra una comanda e l’altra. Sto vivendo un grosso conflitto di interessi” sorride.

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