Dopo la sospensione della sua pubblicazione, si attende di capire quale delle due società, Ledi – Ladisa o Ecologica – Miccolis, riediterà La Gazzetta del Mezzogiorno, con la seconda opzione che resta quella più caldeggiata dai creditori della società Edisud. La triste vicenda del quotidiano però si arricchisce di nuovi retroscena.

Tra questi c’è quella del prepensionamento di 14 giornalisti, poi diventati 11. Come riportato dal sito Youfoggia.com “il vecchio comitato di Redazione della Gazzetta del Mezzogiorno, il 7 aprile, si è dimesso (per i suoi 4/5) dopo che l’assemblea dei giornalisti a larga maggioranza ha bocciato un accordo sottoscritto con l’azienda che prevedeva, tra le altre cose, il prepensionamento di 14 giornalisti su base triennale e la libertà della Ledi di collocare a zero ore i giornalisti a suo piacimento, d’intesa con il direttore De Tomaso. Del vecchio comitato di Redazione, uno sarà eletto in Casagit, un altro andrà in congedo straordinario, un altro diventerà capo di una redazione e un altro assume la guida del Multimediale”.

A questo punto il nuovo comitato di Redazione si insedia e spiega all’azienda che “non esiste un prepensionamento a tre anni ma che tutt’al più, e previo accordo e procedure scandite dalla legge, il periodo da considerare non può superare i due anni”.

I giornalisti da esodare diventano così 10. La trattativa deve essere attivata con tutte le procedure previste dalla Legge 416/1981, a partire dalla presentazione del Piano ai sindacati e dalla discussione in sede ministeriale fino alla costituzione della cosiddetta riserva matematica, soldi che l’azienda deve tirar fuori per i prepensionamenti.

La Ledi però passa direttamente all’ultima fase, senza nessun accordo con le organizzazioni sindacali di rappresentanza (Fnsi e Fieg), inserendo poi l’accordo con il vecchio cdr nella proposta di concordato di fallimentare, quella che ha visto passare la proposta di Ecologia in quanto ritenuta più conveniente.

Tra le altre cose Ledi scrive che “nella gestione dell’ingente personale dipendente (v. piano di ricollocazione e riqualificazione professionale mediante politiche pubbliche approvato dal Sepac e Sindacati, non più rinviabile; investimenti di oltre 600.000 euro) sempre nel rispetto di ogni corretta relazione sindacale e e senza alcun licenziamento, sostiene sempre l’accompagnamento alla pensione di molti, piano riserva matematica approvato da Inpgi di circa 1.150.000 euro”.

Carte e documenti alla mano sembra dunque che Ledi abbia in mano l’accordo, con il via libera sia del Ministero ma anche dell’Ingpi, l’Istituto previdenziale dei giornalisti con i conti in rosso che deve accollarsi i costi di tali prepensionamenti. “Per questo, la Fnsi, che sin dal primo momento ha messo in riga Ledi spiegando che le relazioni sindacali non sono unilaterali, ha preso carta e penna e il 10 agosto, insieme ad Assostampa e nuovo Cdr, ha scritto una lettera ai curatori di Mediterranea ed Edisud, nonché al presidente della Sezione Fallimentare del Tribunale che è giudice delegato di Edisud. Nel documento, oltre a elencare una serie di comportamenti e di circostanze, a proposito dei prepensionamenti chiarisce che i calcoli richiesti da Ledi ed effettuati da Inpgi sono basati sugli eventuali 10 giornalisti da collocare in prepensionamento sino al 2023, ma al momento non vi è alcun accordo con i sindacati – previsto dalla Legge 416 del 1981 – né vi è certezza sulla capienza dell’Inpgi non essendovi alcuna richiesta ufficiale, sul biennio”.

In sintesi l’Inpgi non ha approvato nulla ma aveva solo elaborato dei calcoli, in più non c’era stato alcun accompagnamento alla pensione visto che non era e non è stato ancora fatto un solo atto previsto alla Legge.

Nuovi retroscena che rendono il caso ancora più spinoso, con 140 dipendenti che restano in attesa di risposte. Tra loro c’è anche Nicola Pepe, che in passato si é occupato anche della comunicazione dei Ladisa. Con uno sfogo pubblicato sul proprio profilo Facebook, ha svelato altri dettagli su questa dolorosa vicenda.

“In tanti mi hanno suggerito la consegna del silenzio, ma un giornalista libero non può e non deve sottoporsi a questa autoflagellazione soprattutto dopo che un giudice ha accolto una istanza di accesso agli atti, osteggiata da chi probabilmente non gradiva la conoscenza dei fatti o temeva la conseguenza della verità – le sue parole -. Ma di questo non parlerò, per ora. Poiché sono in gioco 134 anni di storia, la mia vita e la storia professionale, e non un piatto di lenticchie, non si possono e non si devono ignorare le verità dei fatti. Soprattutto se servono a confutare ricostruzioni che paiono lontane dalla realtà, su immaginifiche e mirabolanti cifre snocciolate di qua e di la come se si parlasse di una ricetta di un piatto (neanche gourmet) e non di un giornale finito sott’acqua da 18 giorni e che vede me e tanti miei colleghi sospesi dal servizio, quindi senza lavoro e in cassa integrazione a zero ore dal 1 agosto”.

“Prima o poi verranno a galla i fatti veri smascherando quell’abito di ipocrisia che ha coperto il corpo ferito da tre anni della Gazzetta, dei suoi giornalisti, dei poligrafici, dei pugliesi e dei lucani oltraggiati da uno stop che di inspiegabile non ha nulla”, continua Pepe.

Proprio noi del Quotidiano Italiano, nei servizi precedenti in cui ci siamo occupati del caso della Gazzetta del Mezzogiorno, abbiamo più volte sottolineato come non ci sia nulla di inspiegabile in questo stop e che banalmente potrebbe trattarsi di una ripicca.

“Prima o poi si dovrà trovare il coraggio di tirar fuori la testa dalla sabbia e raccontare cosa è accaduto – spiega il collega -. Prima o poi qualcuno dovrà rivelare che i giornalisti hanno dovuto rinunciare alle ferie. Prima o poi salterà fuori la verità sulle corrette relazioni sindacali e sugli accordi applicati con l’elastico, qualora non bastassero le denunce di Cdr, Assostampa e Fnsi. Prima o poi qualcuno tirerà fuori i dal cilindro il Progetto grafico, il progetto multimediale, la radio, le Tv e chi più ne ha più ne metta, che non hanno visto mai la luce e sono rimasti un… sogno nel cassetto (o più semplicemente un annuncio per i tempi stretti)”.

E al netto di quanto scritto nel post del collega pare proprio che i giornalisti, non tutti, fossero costretti ad esercitare la propria professione in precarie condizioni lavorative con con una tecnologia non del tutto al passo con i tempi di oggi, tra telefoni fantasma sulle scrivanie della redazione e una connessione a singhiozzo.

Se il collega Nicola Pepe ce lo avesse chiesto, gli avremmo fornito i documenti di cui siamo entrati in possesso già da diversi giorni.

“Prima o poi il rispetto della dignità di una delle professioni più belle del mondo dovrà avere la meglio sui comportamenti remissivi o di appiattimento. Prima o poi qualcuno dovrà riconoscere di essersi sentito in qualche occasione come un elemento di arredo da mostrare di volta in volta a questo o quello che ignorava cosa si celava dietro una vetrata (di apparenze). Prima o poi qualcuno dovrà raccontare la verità sullo stop del 31 luglio anche se questa è l’unica cosa nota e la risposta non è da ricercare in Tribunale – conclude -. Ma gli interessi (legittimi fino a prova contraria…) hanno avuto la meglio sulle promesse e sugli endorcement di una politica , a molti livelli, persuasa più dai suoi interessi che quelli della comunità che rappresenta, o che dovrebbe rappresentare – conclude -. Un’ultima cosa: prima o poi qualcuno pagherà questa svalutazione di un bene prezioso che ha lasciato campo libero a una concorrenza intervenuta (ovviamente) per colmare il vuoto lasciato dopo 134 anni. Rialzarsi non sarà facile, ma ce la faremo!”.