Siamo alla frutta, servita a pezzi piccolissimi e con un goccio di maraschino. I giornalisti sempre più stretti in una morsa infernale: tempi che cambiano alla velocità dei social, catastrofiche vecchie abitudini, frustrazioni di ogni tipo e un Ordine professionale che vivacchia sui cadaveri di buona parte dei suoi iscritti.

Lo dico da tempo, l’ho sottolineato in occasione di Videobank, costretta da Sky a licenziare 46 tecnici; l’ho ribadito dopo la sospensione di due mesi inflittami dal Consiglio di disciplina dell’Ordine della Puglia e lo ribadisco dopo il comportamento del comandante della Polizia Locale barese, non censurato da nessuno degli organi di tutela della nostra professione. Il comandante ha scelto di non informare noi e i nostri lettori, cancellandoci dal “suo” gruppo whatsapp, perché più di altri chiediamo conto al Corpo che rappresenta. Il giornalismo è morto, non ancora sepolto, ma ormai ai funerali manca poco.

L’ultima vicenda ha del grottesco e a segnalarla è un fotoreporter lucano, che si è visto soffiare il lavoro da un giornalista in pensione, per di più medico e consigliere nazionale eletto fra i collaboratori, ovvero tra i giornalisti pubblicisti. Tony Vece è il fotoreporter, Filippo Mele il giornalista per hobby, con un passato di grandi racconti sulla criminalità organizzata del metapontino e per questo oggetto di minacce e il tentato incendio dell’abitazione. Mele resta un medico, anche bravo, ma come tanti professori, ingegneri, geometri, architetti, avvocati, ha la passione per il giornalismo. La storiella, in questo caso, è semplice, almeno a leggere i post che troverete qui sotto per evitare che sia io a darvi filtri e censure.

In occasione della visita di Salvini a Policoro, la Gazzetta del Mezzogiorno pubblica tre o quattro articoli (pagandoli come fa coi collaboratori 5 euro a pezzo), ma soprattutto le foto scattate dal medico e giornalista pensionato. Vece scrive il disappunto sul suo profilo facebook e scoppia il putiferio. La replica di Mele aumenta il dissenso tra chi prova ancora a campare di giornalismo, in tutte le sue accezioni, compresa quella che attiene alle immagini. La cosa più sensata sono le dimissioni del medico-giornalista da consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Qualunque battaglia condotta per il bene dei precari o inchiesta passata, perde ogni valore di dignità e coraggio.

Mele e molti altri, con l’alibi dello “stiamo tutti sulla stessa barca”, non si rendono conto di quanto male facciano al sistema dell’informazione. O forse lo sanno, ma fa comodo che tutto resti così com’è. Il tutto con la complicità soprattutto di testate blasonate. Certo, è più comodo pagare 5 euro a pezzo un “collega” che ha già uno stipendio o una pensione, a volte ottimi, che dare dignità a uno vorrebbe campare di solo giornalismo. Siamo alla deriva e non per la distinzione tra pubblicisti e professionisti, piuttosto tra chi fa il giornalista e chi rientra nelle storiche categorie degli hobbisti, pensionati e dopolavoristi. C’è chi deve mantenere la famiglia spaccandosi la schiena 24 ore su 24, mettendo a rischio la propria vita, senza pause e vacanze, rincorrendo la notizia per 800 euro al mese – quando li prende – ma non può fare altro nella vita perché è un professionista. Ci sono, poi, tanti pubblicisti della domenica (ribadisco non mi riferisco ai poveracci che provano a campare di solo giornalismo), che smessi i panni del medico o del professore, scrivono per questa o quella testata o ne aprono loro una, con l’unico risultato di confondere ulteriormente i lettori e affollare i social network di cose tutte uguali, spesso copiate e incollate.

Mele e gli altri come Mele, non hanno capito come per quelli come me, il fatto che non si godano la pensione o i tempi morti del proprio lavoro – magari andando a passeggio con le proprie famiglie – rappresenti il colpo mortale. Quest’anno, coprendo contributivamente solo 11 dei 12 mesi del 2018, pagherò all’Inpgi (ovviamente Inpgi 2 essendo una partita iva dal 2003) tre comode rate da oltre 600 euro a ottobre, novembre e dicembre. Soldi che sul conto corrente non ci sono, perché non ho pensioni o altri stipendi. Quindi a Mele e a quelli come Mele, a maggior ragioni se con reputazioni di livello, dico che qualunque giustificazione non troverà mai l’accoglimento da parte di chi ce la sta mettendo tutta per non soccombere, senza avere il sostegno di uno stipendio. Non troverà mai accoglimento perché si tratta comunque di un hobby o dopolavoro giornalistico, fatto solo per frequentare “certi ambienti”, poter chiedere l’accredito in occasione di un concerto, entrare gratis al museo, o peggio ancora per essere riconosciuti come il giornalista di punta del paese in cui si vive. E lo si fa potendo avere da editori e altri colleghi compiacenti un’elemosina di risarcimento. Il giornalismo – mettetevelo bene in testa – non è un hobby, è un lavoro come qualunque altro.

LO SFOGO DI VECE – Storia di un fotogiornalista precario.
Caro Filippo, sono molto amareggiato per quanto successo a Policoro sabato 10 agosto mentre entrambi seguivamo la tappa del beach tour di Matteo Salvini. Tu sei uno storico collaboratore redattore della Gazzetta del Mezzogiorno, un medico in pensione, e un consigliere nazionale della Federazione nazionale della stampa. Io, da 20 anni, un precario collaboratore fotogiornalista dello stesso giornale, senza altri lavori retribuiti. Quindi non solo “colleghi”, ma “giocatori” della stessa squadra. Quando ti ho detto che le foto le avevo inserite nel sistema editoriale del giornale mi hai risposto che avresti utilizzato le tue, fatte con il telefono, perché non ti sarebbero bastati 15 euro lordi per tre pezzi che avresti pubblicato. Per raggiungere Policoro, dalla tua Scanzano Jonico, avevi speso soldi per la benzina ed eri stato quattro ore sotto il sole. Per cui avevi bisogno di guadagnare qualcos’altro. Da parte tua, considerato che ti ho sempre reputato una persona sensibile, al netto della professione di medico che hai svolto nella tua vita, mi sarei aspettato un’altra reazione e più comprensione. Anche e soprattutto per il fatto che sei un consigliere nazionale del sindacato dei giornalisti. Tante volte hai dichiarato di voler difendere ed occuparti delle condizioni dei giornalisti precari (spero anche dei fotogiornalisti). Trovo opinabili le tue intenzioni dopo il comportamento riservatomi sabato scorso. Infine, resto sconcertato se penso che mi hai telefonato chiedendomi una foto che ti ritraeva insieme a Salvini, da utilizzare sul tuo blog, perché mi hai detto “le tue foto sono migliori delle mie, sono più belle”. Una domanda: avresti messo il credito fotografico? Così la spesa dal fornaio per i miei figli avrei potuto pagarla stampando la pagina del tuo blog con la mia foto pubblicata.

LA RISPOSTA DI MELE – Caro Tony, sono amareggiato per l’accaduto. Ma quando ci siamo visti sul lido di Policoro tu non mi hai detto che fossi lì anche per la Gazzetta. Nè io potevo saperlo. Trattandosi della presenza di Matteo Salvini ho pensato che fossi lì per altre testate. Il mio capo redattore di Matera, altresì, mi aveva esplicitamente chiesto tre pezzi con sei foto a corredo. Come accade in altre occasioni. Anche su richiesta della redazione di Potenza. Nessuno, del resto, né da Bari né da Potenza, mi aveva chiamato per dirmi che tu eri al lavoro per la Gazzetta. Ho fatto le foto, le ho selezionate, le ho abbinate ai pezzi, ho aggiunto le didascalie e le ho inviate a Matera. Tu mi hai chiamato attorno alle ore 9 quando io avevo fatto già il tutto da tempo. La mia risposta faceva riferimento al modo in cui siamo trattati. Nessun ostracismo, quindi, nei tuoi confronti. Per quanto riguardo il mio rapporto con la Gazzetta lo considero un vero e proprio lavoro. Sono medico? Sono un giornalista pensionato? Sono anche un giornalista co.co.co che si sbatte e si danna, come tu ben sai, per la testata per cui lavora. Con tutte le conseguenze, belle o brutte, del caso. Quanto alla richiesta della tua foto era dettata solo dalla stima che avevo ed ho per te. Quanto al mio essere stato eletto consigliere nazionale della stampa tra i collaboratori darò conto a chi mi ha votato confrontandomi con loro e continuando, in tutti i modi, con un impegno che, sinora, pochi hanno portato avanti. La prova sta nel fatto che i collaboratori, siano essi giornalisti siano essi fotogiornalisti, sono l’ultima ruota del carro e sono costretti a vicende come quelle che, mio malgrado, mi hanno visto coinvolto con te. 
Con stima

LO SFOGO DI MELE Caro Tony, rompo il silenzio che mi ero imposto sulla vicenda delle foto su Salvini a Policoro per fare considerazioni offerte a chi segue la tua pagina. Mi hai dipinto come un tuo nemico quando sai benissimo che io ti consideravo e ti considero, nonostante tutto, un amico. La mia solidarietà nei tuoi confronti c’è stata sempre. Non ricordi quando mi hai chiamato: “Filippo, sono a Potenza, mi hanno chiesto delle foto. Puoi farmele, per piacere, ed inviarmele senza che vengo nel Metapontino?” Ed io sono andato sul posto, ti ho fatto le foto e te le ho mandate e, come giusto, te le avranno anche pagate. Foto scattate col mio telefonino. Poi, perché hai chiamato me invece che la redazione di Matera o di Potenza o la direzione di Bari per far pubblicare le tue foto su Salvini? Non metto io le foto in pagina. Io avevo fatto quel che mi aveva chiesto il caposervizio di turno a Matera. Io avevo mandato le mie foto due ore prima della tua telefonata delle ore 19, tu le tue. Hanno messo le mie. Salvo una sulla prima pagina di Basilicata, la stessa che era stata pubblicata sulla pagina Ansa della nostra regione, giorno 8.8.19 ore 12.48, sotto al titolo “Lancio di acqua e insulti contro Salvini a Policoro”. Forse che eri a Policoro per l’Ansa? Io non faccio le pagine, non metto i titoli, non metto le foto e le relative didascalie. La Gazzetta, nella sua interezza, da Bari a Potenza a Matera, poteva mettere le foto che voleva. Non ho imposto niente a nessuno. Ho fatto solo quello che mi avevano chiesto. La discrezionalità nella pubblicazione delle foto, quindi, non era e non è nelle mie competenze. Quando mi hai chiamato ho avuto con te lo sfogo che avrei avuto con un amico prendendo il caso di specie ad esempio su come sei e e su come sono trattati quelli che fanno il mio stesso lavoro e che, magari, non sono anche medici e pensionati ma che vivono esattamente come te, e lo sai bene, la professione giornalistica. Avermi dipinto come un avaro ed un arraffone che sottrae il pane ai figli dei fotogiornalisti precari sai che per la storia personale che mi contraddistingue e per chi mi conosce realmente non corrisponde alla verità. La vicenda mi consegna una profonda amarezza più umana che professionale.

LE DIMISSIONI DI MELE – AL PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE NAZIONALE DELLA STAMPA – ROMA COMUNICO DALLA DATA ODIERNA LE MIE DIMISSIONI IRREVOCABILI DA CONSIGLIERE NAZIONALE ELETTO DALLA DELEGAZIONE DELLA BASILICATA. RINGRAZIO PER L’OPPORTUNITA’ OFFERTAMI ED AUGURO A TUTTI BUON LAVORO. 
FILIPPO MELE