“Ormai ho deciso, vado in Procura e denuncio tutti: la GMS, la Asl e la Regione”. Lui è uno dei 170 dipendenti vittime del ciclone che ha travolto il Centro Padre Pio a Capurso. Della storia ci siamo occupati diverse volte, raccontando i fatti, intervistando l’amministratore della società a cui è stato tolto l’accreditamento regionale, ascoltando la Mefir, e dando spazio anche alle dichiarazioni del presidente della Puglia, Michele Emiliano.

Al di là della vicenda raccontata dalle carte, però, ci sono loro, i lavoratori, quelli che hanno fatto diventare il Centro Padre Pio ciò che era prima che tutto precipitasse, gli stessi che oggi non hanno ancora capito che fine faranno, ma soprattutto che non sanno come fare a vivere, qui e ora, non domani.

Nicola, lo chiamiamo così, ma potrebbe essere Guido, Luana, Gina o chi volete, ha alle spalle oltre 15 anni di servizio, lavoro portato avanti con soddisfazione e dedizione.  A novembre ha percepito l’ultima busta paga dignitosa, per il mese di dicembre una cifra che si aggira sui 500 euro, poi più nulla. Ora non ce la fa più. Separato, deve pagare gli alimenti alla moglie. In questo periodo vive a casa dei genitori, ma presto dovrà andarsene. Sono anziani, percepiscono una piccola pensione, e non riescono a farsi carico anche di lui.

“Nel bene e nel male – dice – all’azienda saranno riconosciuti i danni, chi ci sta rimettendo, per colpa di un imprenditore che si è fatto raggirare, siamo noi dipendenti. La cosa che veramente mi dà più fastidio è l’indifferenza delle istituzioni, essere preso in giro. La vicenda è stata gestita male dall’inizio, anche dai sindacati, che non hanno saputo puntare i piedi nel blindare e tutelare i lavoratori. È stato un gioco al massacro per colpire l’azienda e in mezzo ci siamo finiti noi”.

“Qualcuno – aggiunge – mi dovrà spiegare per quale motivo, se 170 lavoratori hanno presentato il decreto ingiuntivo, il giudice ne ha concessi solo 44. La legge dice che col concordato preventivo in continuità, tutti i soldi dell’azienda devono rientrare nelle casse del concordato, e invece, con delle somme di GMS accantonate presso la Asl di Bari, il giudice ne ha pagati solo 44 e non tutti. I soldi a disposizione c’erano”.

“Sto pensando di andarmene dall’Italia – commenta amaramente – non prima però di averli portati davanti a un giudice, e pazienza se gli avocati costano. Devi spendere di tasca tua per avere giustizia. Denuncio non solo la GMS, ma anche la Regione e la Asl, che forse sono colpevoli più dell’azienda. Si devono vergognare per come ci hanno ridotto”.

“Le rate del mutuo da saldare, le bollette che vanno pagate sennò ti staccano tutto, e naturalmente devi cercare di dare da mangiare alla famiglia e i figli. Per fortuna non ho alcuna intenzione di compiere qualche gesto estremo, ma non posso escludere che qualcuno dei miei colleghi lo faccia. Ho paura che a qualcuno salti la centralina al cervello. Non ce la facciamo più – conclude – le banche stanno iniziando i pignoramenti, qui finisce male”.