Monica Montenegro ha 28 anni, è una giurista e come molti aspriranti avvocati s’è fatta tre anni di lavoro nero, più politicamente corretto dire gratuito, nelle istituzioni pubbliche. Proprio così. Ha inviato migliaia di curriculum in giro per il mondo, anche in Italia, dove non è stata neppure presa in considerazione. L’unica azienda a farsi avanti, a corteggiarla per circa un anno, è polacca. Monica, però, non se ne vuole andare dall’Italia. Non vuole farlo a maggior ragione dopo aver letto le ultime dichiarazioni di Piercamillo Davigo. Come fatto con la missiva di Gaetano Di Liso al ministro Poletti, anche in questo caso condividiamo il pensiero di chi studia, si perfeziona e vuole affermarsi nel proprio territorio. Nel caso di Monica Montenegro, l’Italia, la Puglia, L’Area Metropolitana barese, Monopoli.

Gentile Quotidiano Italiano,
sono Monica Montenegro e vorrei rispondere pubblicamente a Piercamillo Davigo in merito alle sue affermazioni riportate nell’articolo pubblicato su Repubblica – Bologna del 28 aprile scorso. Sento la banalità: “Quando sapete le lingue emigrate”, “il Diritto è diventato un mestiere proletario” e rabbrividisco. Terminare una lectio magistralis in questa maniera, davanti a tanti ragazzi è impensabile, perché noi giovani conosciamo la situazione meglio di Davigo, vivendola.

Sono laureata in Giurisprudenza d’impresa alla Bocconi, sono disoccupata, ho svolto lavoro legale gratuitamente per tre anni, eppure anche io, nonostante il malcontento, non posso accettare di sentire che devo andare via perché l’Italia è satura.

Ho lanciato un progetto, con una lettera mandata a Concita de Gregorio, chiamato #Ilnostroposto. Proprio perché i giovani che “sanno delle lingue”, meritevoli, figli di “nessuno”, non siano costretti ad emigrare, ma abbiano la libertà di affermarsi nel proprio territorio.

Noi giovani abbiamo il diritto di ascoltare, piuttosto, delle idee da chi ha costruito il “passato” che possano aiutare a vivere il presente e rendere possibile il futuro. Se non è un paese per giovani, non è un paese, perché non esiste libertà di affermazione.
Se secondo l’art. 1 della Costituzione, la mia Repubblica è fondata sul lavoro (anche se secondo alcuni questo non implica “diritto a svolgere in Italia un lavoro piuttosto che un altro”), ciò vuol dire che quest’ultimo è considerato uno dei valori fondanti.

Se dovete affossare qualcuno, spostate il mirino su voi stessi, colpevoli di aver creato un sistema fondato su “caste e privilegio” più che diritto e giustizia, contribuendo al collasso di un sistema che sta implodendo sulle nostre spalle.

Alle parole “il settore legale ormai è diventato proletario”, penso che il fallimento italiano non sia solo frutto della nostra generazione, spesso definita “senza mordente”, ma sia il risultato di un processo innestato dalle errate concezioni del diritto e delle professioni a lui legate, una casta appunto.

Il diritto è lo specchio della società, ubi societas ubi ius, ne influenza i valori, ne caratterizza i doveri e soprattutto è l’unica garanzia di libertà di una società moderna.

Se dovessimo seguire il Suo consiglio caro Dottore, il nostro rimarrebbe un paese privo di giuristi, futuri legislatori, avvocati, magistrati, insegnanti di diritto. È questo che spera per il futuro italiano?
Un caro saluto Davigo, adesso posso passarLe l’asciugamano per terminare di lavarsi le mani sulla nostre condizioni, e soprattutto NO, io e le mie competenze non emigriamo.