La Dema Impianti di Altamura nel 2011 era un’azienda sana. Fatturava circa 4 milioni di euro all’anno, aveva in organico 20 dipendenti, non aveva debiti e nella propria lista fornitori vantava imprese multinazionali che le riconoscevano credito e onorabilità finanziaria. La stessa Dema Impianti il 28 settembre del 2015 siederà davanti a un giudice del Tribunale di Bari per un’udienza pre-fallimentare che ne sancirà la chiusura. Sandro Denora, direttore tecnico della ditta, non ha dubbi: si tratta di omicidio. La pistola fumante è nelle mani dello Stato e Denora preannuncia una forma di protesta esemplare: il 15 settembre, due settimane prima dell’udienza, si incatenerà ai cancelli del suo ufficio di Altamura e griderà forte la sua rabbia.

«Siamo vittime dello Stato – tuona Denora – e la data di esecuzione è fissata per il prossimo 28 settembre. Sono un imprenditore ormai fallito, una persona che ha sempre lavorato per non far mancare nulla alla propria famiglia e ai propri dipendenti ma in Italia funziona così: si fallisce per crediti, non per debiti. La mia sfortuna è stata quella di aver lavorato in un importante appalto pubblico nazionale, la Nuova Cittadella dell’Economia di Capitanata. Sono stato truffato sia a livello economico che a livello morale. Non ho mai pagato tangenti, forse un errore, ma ne sono fiero. Ho prestato la mia ditta allo Stato fiducioso che da questo sarei stato totalmente protetto. Invece no, tutt’altro».

Tutto inizia nel 2009. Denora racconta i dettagli della storia in una lettera che invia agli organi di stampa e a tutte le istituzioni, anche al presidente della Repubblica e quello del Consiglio. Risponderà solo il deputato M5S Giuseppe L’Abbate, che presenterà ben tre interrogazioni parlamentari, poi, anche la deputata del Pd, Liliana Ventricelli. Nulla è cambiato. Anzi.

Siamo nel 2009 e il Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna, vero e proprio colosso nella sfera della Legacoop, operante sul mercato fin dal 1912, si aggiudica l’appalto pubblico per la costruzione della Nuova Cittadella dell’Economia di Capitanata. Un appalto da circa 22 milioni di euro che vede come ente appaltante la Camera di Commercio di Foggia. Il CCC di Bologna, in sede di gara, dichiara di perseguire il proprio scopo mutualistico e di concorrere per conto dei seguenti soci cooperatori: la ditta Mucafer di Manfredonia, per le opere edili OG1, e il Consorzio Alta Tecnologia di Ravenna per le opere impiantistiche OS28 e OS30. Il CAT di Ravenna, però, è a sua volta un consorzio e quindi rappresenta la Tecno Allarmi e la Tecno Allarmi Sistemi, ditte aventi sede a Ravenna in via Buozzi 6/A. Casualmente, lo stesso indirizzo del CAT.

Nei primi mesi del 2010 la Dema Impianti viene contattata dal CAT per un subappalto. Nel marzo del 2010 l’azienda di Altamura redige un’offerta di 1.792.000 euro più iva. Dopo aver analizzato l’offerta, l’amministratore del CAT riferisce che poter realizzare i lavori bisogna necessariamente diventare soci cooperatori del consorzio. Sempre a marzo, quindi, la Dema Impianti diventa socia del consorzio ravennate e le vengono assegnati una parte dei lavori per un importo pari proprio a 1.792.000 euro.

Trovato l’accordo, mentre erano già in corso due perizie di variante al progetto di gara, che di fatto lo stravolgevano totalmente, il CAT avviava la procedura per l’ingresso in cantiere della Dema Impianti presso l’ente appaltante, dunque la Camera di Commercio di Foggia, in quanto la ditta non era indicata in fase di gara. E qui la storia si complica, perché la Dema Impianti entrerà in cantiere nel giugno del 2010 convinta, in quanto ormai socia del consorzio, di essere carne, invece era pesce e per la Camera di Commercio di Foggia, alla fine della storia, non sarà né carne né pesce.

La Dema Impianti, con un accesso agli atti pubblici di appalto effettuato tra il 2013 e il 2014, scoprirà che il CAT in data 31 marzo 2010 chiede all’ente appaltante, quindi alla Camera di Commercio di Foggia, l’ingresso della ditta in cantiere per la realizzazione di una parte dei lavori. Quella parte che le avrebbero lasciato la Tecno Allarmi e la Tecno Allarmi Sistemi, indicate in fase di gara nella dichiarazione giuridica della compagine consortile. L’ente appaltante il 27 aprile 2010 risponde picche: la Dema Impianti non era indicata in fase di gara e quindi non può entrare. Oltre a negare l’accesso, sempre nello stesso giorno, la Camera di Commercio chiede chiarimenti a Tecnocamere, ente supremo e di supporto al responsabile unico del procedimento, e al CAT. Una domanda a testa. Caro CAT, perché vuoi far entrare questa ditta? Caro Tecnocamere, possiamo farla entrare?

Il CAT risponde con una lettera che ha come oggetto “Affiancamento alle imprese esecutrici” nella quale comunica la necessità di affiancare alle ditte esecutrici segnalate in fase di gara per le opere impiantistiche, un’altra impresa consorziata specializzata nell’installazione di impianti meccanici e che essendo il progetto stravolto ed i lavori aumentati, con l’intento di rispettare i tempi di consegna fissati per novembre del 2011, vorrebbe far entrare in cantiere anche la Dema Impianti di Altamura. Tecnocamere risponde dichiarando che sull’argomento ci sono due differenti orientamenti supportati dalla legge. Il primo vieta e conferma l’impossibilità di qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi rispetto a quella risultante dall’impegno in sede d’offerta. Il secondo dà la possibilità al consorzio aggiudicatario di indicare un’altra consociata per l’esecuzione dei lavori residui a determinate condizioni che, nel caso specifico, erano comunque mantenute. Seguendo questo secondo orientamento l’ente appaltante, sempre la Camera di Commercio di Foggia, decide di far entrare l’azienda di Altamura in cantiere.

Nel giugno del 2010 la Dema Impianti scende in campo e secondo quanto riferito dal direttore tecnico Sandro Denora si accorge subito che i lavori che avrebbe dovuto effettuare non erano residui, perché di fatto fino a quel momento alcun lavoro di impiantistica era stato ancora effettuato e né la Tecno Allarmi né la Tecno Allarmi Sistemi, sottolinea Denora, erano mai entrate in cantiere. Ma in Camera di Commercio nessuno se ne era accorto.

La Dema Impianti fa il suo, cioè lavori per un importo pari ad euro 1.792.000, e fa di più, cioè quelle derivanti dalle perizie di variante 2 e 3 per un importo totale superiore ad euro 2.700.000. L’assegnazione iniziale viene pagata regolarmente a marzo 2012, il resto no. A giugno 2012 il CAT chiede di redigere il nono stato di avanzamento lavori sui dieci totali che l’appalto prevedeva, quello che faceva superare di gran lunga l’importo assegnato alla ditta in precedenza. Un importo che non verrà mai più corrisposto. Visto il mancato incasso la Dema Impianti ad agosto 2012, con una lettera, invita l’ente appaltante a sospendere tutti i pagamenti al fine di tutelare la ditta stessa, ma a settembre la Camera di Commercio paga: al CCC di Bologna vincitore dell’appalto, che a cascata paga la Mucafer ed il Consorzio CAT. La cascata si ferma qui. Dopo due giorni, in risposta alla richiesta di sospensione dei pagamenti da parte della Dema Impianti, l’ente appaltante comunica che essendo un contratto derivato non ha nessun obbligo e nessun diritto da esercitare.

Dema Impianti, attraverso il proprio legale di riferimento, contesta il tutto con una sequela di comunicazioni ma dall’ente appaltante nessen segnale. I dipendenti, non percependo lo stipendio da circa tre mesi a causa del mancato incasso da parte della ditta per i lavori eseguiti, protestano. E coadiuvati dai sindacati chiedono, come previsto dalla legge, l’intervento sostitutivo dell’ente appaltante. Ma da questo non riceve nulla: viene riferito ai dipendenti di rivolgersi al CAT, che aveva percepito quanto dovuto. Nell’ottobre 2012 la Camera di Commercio cambia idea e decide di pagare le mensilità arretrate dei dipendenti, contraddicendo con i fatti quella teoria degli obblighi e diritti con cui aveva respinto le rimostranze della ditta.

Nel frattempo, il 23 ottobre del 2012, il CAT revoca l’assegnazione dei lavori alla Dema Impianti. Una revoca che invia anche alla Camera di Commercio di Foggia ma che riguarda però dei lavori già abbondantemente svolti e documentati dai precedenti documenti di stato avanzamento lavori.

«Da quel momento inizia una vicenda giudiziaria lunga ed estenuante – incalza Sandro Denora – l’ente appaltante ci chiede di redigere uno stato di consistenza lavori nonostante fino a qualche mese fine ci avessero disconosciuto. Lo facciamo, ma il CAT sostiene di aver svolto buona parte di lavoro che invece avevamo svolto noi. Sarebbe bastato consultare i libri giornali che il direttore dei lavori è tenuto a tenere quotidianamente aggiornati ma più tardi verremo a scoprire che questi documenti pubblici sono andati smarriti. Chiediamo infatti i libri giornali dal giugno 2010, nostro ingresso cantiere, fino a ottobre 2012, nostra esclusione dal cantiere. E scopriamo che quelli relativi al periodo giugno-febbraio sono scomparsi. Otto mesi di vuoto».

Il tempo passa e i dipendenti della Dema Impianti, quasi tutti licenziati o in cassa integrazione, continuano la loro battaglia per avere ciò che gli spetta. La ditta continua la propria battaglia pure lei ma intanto il CAT, pur essendo un consorzio, fallisce. La Dema Impianti diffida la Camera di Commercio di Foggia dal far certificare da terzi gli impianti realizzati ma questa, senza entrare nei dettagli, chiede parere al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per ricevere l’autorizzazione a procedere. Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che pure evidenzia la mancanza di dettagli nella richiesta, senza approfondire concede parere favorevole a far certificare gli impianti da altre ditte perché la questione si presenta di carattere generale. Così la Nuova Cittadella dell’Economia apre a giugno del 2015, con quattro anni di ritardo.

«Mentre noi nel frattempo ci abbiamo rimesso la pelle – spiega riferendosi all’attività Sandro Denora – e siamo costretti a chiudere pur vantando un credito di oltre un milione di euro. Non abbiamo più potuto pagare i lavoratori e con il Durc non in regola non abbiamo più potuto lavorare. La Dema Impianti è una società a responsabilità limitata. Avrei potuto portare i libri in tribunale tre anni fa e stare molto più tranquillo. Invece ho una coscienza. Ho un obbligo morale nei confronti della mia famiglia e nei confronti delle persone che hanno lavorato per questa società nel corso degli anni. Non ho scheletri nel mio armadio e voglio combattere questa battaglia fino alla fine. Nonostante, ormai, il finale appare davvero scontato. Stiamo morendo e la colpa è tutta dello Stato e delle sue assurde leggi sugli appalti pubblici. Io, però, non ho intenzione di uccidermi. L’Italia ha già sulla coscienza la morte di troppi imprenditori, non avrà anche la mia».