Monta la protesta allo stabilimento Bridgestone della zona industriale di Bari. I dipendenti, a due anni dal nuovo piano industriale che dovrebbe impedire la chiusura della sede, chiedono all’azienda un confronto sui risultati e i benefici raggiunti fino ad ora e la direzione che la sede centrale intende far prendere alla fabbrica locale.

Il 4 marzo del 2013, la Bridgestone decide di chiudere lo stabilimento di Bari, mandando a casa 950 persone. Dopo una serie di scioperi, mobilitazioni e interventi da parte delle istituzioni, l’azienda decide di presentare un piano di reindustrializzazione. Oggi, a distanza di poco più di 2 anni la Bridgestone di Bari ha ugualmente i cancelli chiusi. Con tutta probabilità, lo stabilimento riaprirà il prossimo 3 giugno ma la situazione è ancora tutta da definire. Fino ad ora, il piano di reindustrializzazione ha comportato la mobilità volontaria di 181 dipendenti, dei 377 esuberi previsti, un abbassamento dello stipendio dei lavoratori di circa 200 euro di media, turni di notte e premi produzione pagati al 50%. In più, dal 2016 lo stabilimento dovrà alzare la produzione, dagli attuali due milioni e 800mila pneumatici l’anno, fino a tre milioni e mezzo.

Con queste premesse, ai dipendenti è sorto il dubbio che l’innalzamento della produzione, unita alla diminuzione della forza lavoro e della retribuzione, sia un espediente dell’azienda per far chiudere lo stabilimento per il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati.

Oltre a un confronto con la direzione dell’azienda, che fino ad ora tarda ad arrivare, i dipendenti della Bridgestone di Bari chiedono al prossimo governatore della Puglia un intervento su questa situazione.