ex ilva draghi idrogeno
Foto: pagina Facebook Ufficiale di Mario Draghi

La questione Italsider, o Ilva, o ArcelorMittal Italia, o Acciaierie d’Italia, oppure ex Ilva è costituita da due microcosmi – uno jonico e uno genovese – e da una storia che parte dal 1941, prima ancora che fosse inaugurato il polo siderurgico a Taranto, nel 1965. Ogni cambiamento ai vertici battezza la grande industria. Qual è la situazione attuale? Acciaierie d’Italia parla di un aumento della produttività del 40% nel 2022 rispetto al 2021, per un totale di 5,7 milioni di tonnellate come stima. Al momento, circa 3mila persone – di cui 2.500 a Taranto – sono in cassa integrazione. Oltre a questi, ci sono altri 1.600 dipendenti in cassa integrazione e che si riferiscono al periodo di commissariamento. Si tratta di addetti ai lavori che poi non sono stati più assorbiti nel cambio ai vertici nel passaggio tra amministrazione straordinaria e ArcelorMittal. Siamo ben lontani dai numeri del bei tempi, dove a lavorare erano circa 10mila persone.

Già, ma quali sono i bei tempi di piena produttività a cui ha fatto riferimento ieri 8 giugno Mario Draghi alla firma dei protocolli per i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza? Non si tratta degli inizi, quando, secondo un documentario d’epoca scritto da Dino Buzzati del 1962 e disponibile su YouTube, la stima per il 1969 fu di 3 milioni di tonnellate. Durante gli anni Ottanta, il polo siderurgico ebbe una crisi legata all’acciaio. Il periodo di piena produttività dell’Ilva potrebbe essere quello tra gli anni Novanta e il 2011 – gli anni della gestione Riva – quando si producevano 9-10 milioni di tonnellate di acciaio. Di lì a poco sarebbe partito il processo Ambiente Svenduto e le sue conseguenze sono note a tutti.

La rivoluzione dell’idrogeno nel siderurgico ha scatenato nuovi entusiasmi sulla possibilità di decarbonizzare l’ex Ilva, utilizzando l’idrogeno invece del carbon coke per la produzione di acciaio. Da dove nasce questa idea? In realtà, se ne parla già dal 2020, sulla scia del primo impianto siderurgico svedese a idrogeno in sperimentazione. Il tema è tornato alla ribalta nel gennaio 2021, quando è sorto il primo impianto siderurgico a idrogeno in Austria. Allora cosa sta aspettando l’Italia? Beh, in realtà non sta aspettando, perché non ha i protocolli d’intesa tra le Regioni. Infatti, Draghi ha affidato questo compito a 6 Regioni, ma al momento privi di finanziamenti. In più, Emiliano ha parlato di un Centro Studi jonico per capire come usare l’idrogeno per decarbonizzare l’ex Ilva. Anche se avessimo già tutto – protocolli, fondi, ecc. – ci sarebbero due ostacoli non da poco per una riconversione a idrogeno. Il primo è la stessa produzione. Infatti, in Austria l’idrogeno si usa al posto del carbon coke per ridurre i minerali ad alto contenuto di ferro.

Questo elemento si può realizzare subito in una fase di preridotto, ma non per la produzione in altoforno, a meno che non si cambi l’altoforno per alimentarlo a metano e successivamente a idrogeno. Anche se si utilizzano i forni elettrici – lo stabilimento jonico ne utilizza due – per migliorare la qualità della fusione serve comunque l’altoforno. Infatti, in Austria e in Svezia stanno ancora usando il carbon coke in parte per capire come organizzarsi a livello industriale. Il secondo problema è che l’idrogeno ha bisogno di una mole immensa di energia elettrica. Dove la recuperiamo e a quale prezzo? L’idea più semplice sarebbe quella di creare degli impianti a energia rinnovabile sfruttando i fondi del PNRR. L’Unione Europea accoglierebbe la proposta a braccia aperte, dato che il Parlamento ne ha mostrato pubblicamente i vantaggi sui propri canali di comunicazione e non solo.

Due domande sorgono spontanee: quali impianti e dove inserirli? Solo nella città jonica – senza riferimenti alla provincia – c’è la raffineria dell’Eni e il parco eolico. Quest’ultimo è progettato sui consumi della città, non su quelli di un potenziale altoforno a idrogeno – considerando anche che l’impianto con le rinnovabili non sarà subito attivo. Senza contare che a Taranto ci sarebbe quel piccolo problema delle bonifiche e dello smaltimento degli altoforni utilizzati finora. In teoria si dovrebbe continuare a produrre, perché altrimenti come Paese saremmo ancora una volta soggetti a cercare al mercato estero, con tutte le fluttuazioni di prezzo del caso. Infatti, è per questo motivo che l’ex Ilva è considerata strategica. Quando si potrà davvero investire in tal senso e con chi? Parlando di vertici, i tempi si allungano considerata la recente proroga per due anni firmata in questi giorni.