Dopo quasi due mesi senza imbracciare la telecamera, decidiamo di andare in giro per Bari. Niente di stabilito, solo la voglia di capire l’aria che tira alla vigilia della riapertura pressoché totale delle “gabbie”, non tutte dorate. Nella quasi deserta piazza Umberto, un migrante visibilmente ubriaco inizia a minacciare, inveisce non si sa bene contro chi o cosa.

La telecamera è ancora spenta. L’uomo non è neppure lontanamente nei nostri pensieri. Siamo alle prese con un uomo di mezza età. Fa il corriere per lavoro, una delle categorie che non si è mai fermata neppure un istante in questo lockdown. Iniziamo l’intervista, ma il migrante ci ha puntato. Ha gli occhi rossi e barcolla, dei dispositivi di protezione neppure a parlarne.

Nella zona della stazione lo conoscono tutti e tutti sanno che meriterebbe ben altre attenzioni rispetto a quelle che gli vengono riservate, non fosse altro perché è pericoloso. L’ubriaco continua il suo turpiloquio e man mano si avvicina con l’intenzione di sferrare il colpo. Ci prova più volte e neppure quella di allontanarci sembra una buona idea. Parolacce in italiano, frasi in un’altra lingua, poi i toni salgono e, infine, dà lo scatto verso di noi, puntando alla telecamera. Nel frattempo si copre interamente la faccia.

Il destino sembra segnato, ma a quel punto, a toglierci le castagne dal fuoco sono due passanti. Uno di loro è un altro migrante, un clochard senza mascherina e guanti. Ci racconta la sua vita fatta di stenti, le difficoltà di questo periodo. Il cerchio si chiude quando il corriere che avevamo intervistato si fa avanti privandosi di un paio di guanti e una mascherina per donarla a chi ci ha salvati. Se questa storia ha una morale non può che essere una sola: non è dal colore della pelle che si può giudicare un uomo, ma dalle sue azioni.