Passerà ancora molto tempo prima di riuscire a sapere tra chi debbano esser equamente  ripartite le colpe del disastro ferroviario avvenuto sulla linea della Ferrotramviaria, nel tratto tra Corato e Andria, quel maledetto 12 luglio. Sarà compito della magistratura. Il nostro, invece, è quello di cercare di capire le ragioni del mancato sviluppo della Regione, frenato soprattutto dall’inspiegabile blocco di alcuni grandi progetti di mobilità e movimentazione delle merci, che promettono di dare benefici a tutta la Puglia.

Parliamo della Ferrotramviaria, quella coinvolta nella tragedia, della Ferrovia del Gargano e dell’Interporto di Bari. Cos’hanno in comune queste tre mastodontiche opere? Il fatto che i soggetti promotori e gestori sono aziende private, alle prese con la burocrazia degli uffici pubblici, in questo caso quelli della Regione Puglia che si occupano di programmazione, pianificazionereti e infrastrutture per la mobilità. Tutto bloccato da qualche anno, almeno dal 2012. Piccoli passi in avanti e poco altro.

E qui veniamo agli uomini sbagliati (eccellenti per altro) nel posto giusto. Nel leggere i curricula pubblici di alcuni dei dirigenti che ricoprono ruoli apicali di quel settore strategico pugliese, siamo rimasti sconcertati. Attenzione, sia chiaro, non vogliamo mettere in discussione la bravura o la competenza degli interessati nelle loro attività precipue, ma il fatto che la loro professionalità sarebbe stata certamente meglio valorizzata se impiegata altrove, non nella gestione di tre grandi progetti da centinaia di milioni di euro, in cui serve celerità e dimestichezza con le faccende europee, essendo tutti finanziamenti che in parte arrivano dall’Unione, divisi in più fasi, ognuna delle quali va rendicontata e verificata prima di passare allo step successivo.

Nella nostra considerazione non contestiamo le modalità di reclutamento e assunzione, se da precari siano poi stati stabilizzati, se abbiano fatto un concorso. La domanda è: perché mettere a capo di questi uffici strategici, che richiedono assolute competenze in materia di trasporti, leggi comunitarie, padronanza con appalti e finanziamenti di un certo tipo, un ingegnere meccanico, espertissimo di produzione e manutenzione di trasmissioni per auto, e un altro iper compentente in piste ciclabili e regolamentazione del traffico?

Prima di acquisire la conoscenza specifica della materia – aumentata con l’esperienza a danno dello sviluppo regionale – c’è bisogno di anni e di molta prudenza, per evitare di firmare autorizzazioni e incartamenti delicatissimi. Lo comprendiamo perfettamente. Ma è altrettanto vero che tutto il tempo perso finora, persino al primo step dei finanziamenti europei, quello che avrebbe consitito di sbloccare i vari iter, in attesa di avere contezza di tutto il resto in una fase successiva, ha finito per paralizzare investimenti e progetti, che adesso vacillano sotto il peso delle lungaggini e di alcuni strani cambi di rotta.

Non vorremmo che l’eterna lotta tra pubblico e privato e tra quella parte di pubblico e certi privati, le lobby per intenderci, stesse ancora condizionando la tipologia di investimeni in cui riversare i fiumi di soldi pubblici previsti. Il problema vero è il sistema, difficile da scardinare, perché da un lato rivendica trasparenza e firma in tal senso protocolli e intese; dall’altro, però, non ha il coraggio di rinnovarsi e diventare davvero competitivo attraverso il reclutamento delle persone giuste da inserire nei posti giusti.