Dando notizia della denuncia alla Polizia Postale di Francesco Papappicco e Francesca Mangiatordi, avevamo deciso di non far apparire il nome e la fotografia del profilo Facebook segnalato alle autorità. Giambattista Giannoccaro, però, ci ha spiegato come la nostra sia stata una inutile accortezza. Lo accontentiamo. Dopo la denuncia, non risulta che Giannoccaro abbia deciso di chiarire la sua posizione alla Polizia, probabilmente aspetta di essere convocato. Strano che sia stato così solerte e puntuale a seguire e criticare aspramente ogni post scritto da Papappicco e ripreso dal nostro giornale riguardante il dottor Antonio Dibello e abbia invece tralasciato proprio quello sulle dimissioni di quest’ultimo. Solo gratuiti attacchi in apparenza diffamatori ai due medici in catene.

D’altronde – lo ricordiamo – lo stesso Dibello si era dimesso o era stato indotto alle dimissioni perché chiaramente travolto dalle nostre continue denunce sull’inefficienza delle strutture sanitarie da lui dirette oltre che dalla vicenda dei due colleghi in servizio proprio all’ospedale della Murgia e nella postazione del 118 di Gravina. Uno scenario particolarmente complicato, capace di generare sempre nuove domande. Perché nessuno ha ufficialmente reso note le dimissioni di Dibello avvenute il 3 agosto, giorno in cui i due medici iniziarono la protesta? Per quali motivi si è dimesso così repentinamente, pur avendo spesso detto il contrario? Risulta chiaro il nesso con i due procedimenti disciplinari avviati a carico dei due medici, che più volte han tirato in ballo le responsabilità della fallimentare e contemporanea gestione del 118 e del pronto soccorso dell’ospedale della Murgia. Perché Dibello si è praticamente licenziato? Gli è stata forse promessa dal direttore generale della Asl o da chissà chi altri di dirigere un’altra struttura convenzionata come la Mater Dei per esempio? Mater Dei che rischia di diventare anche il postificio di alcuni ex operatori sanitari ribelli, ritornati nei ranghi forse proprio per le promesse ricevute. Staremo a vedere perché i tempi ormai sono quasi maturi. Si è proceduto a dare seguito al celeberrimo “promoveatur ut amoveatur”?

Non vogliamo certamente ipotizzare che Giambattista Giannoccaro e Antonio Dibello siano la stessa persona, o che il secondo comunichi attraverso il profilo sottoposto all’attenzione delle autorità competenti. Non vorremmo, però, che questa storiaccia si alimentasse di altre assurde coincidenze come quelle fin qui raccontate. Non sembra, come dice Giannoccaro, che finora ci abbia messo la faccia. A nostro avviso il suo profilo necessita di accertamenti, anche perché finora ci è andato giù pesante nei commenti indirizzati ai due medici e al sottoscritto, sul quale più volte sono stati adombrati dubbi, in considerazione della parentela con l’ex presidente dell’Oer Giovanni Emilio.

Potrebbe essere un profilo fasullo (un fake) o solo qualcuno che ha messo a disposizione di qualcun altro il suo reale account. Saranno le autorità a doverci capire qualcosa di più. Com’è riuscito Giannoccaro a rifarsi a “documenti redatti da chi ricopre posizioni apicali nella gerarchia dirigenziale in oggetto?” E poi, chi è davvero lei a cui sarebbero “stati rivolti epiteti e frasi ingiuriose?”. Nessuno l’ha mai ingiuriata Giannoccaro. Altri sono quelli a cui sono state rivolte accuse pesanti, ma provate, non certo offese e ingiurie. E se fossa davvero come dice, perché non procede a querelare a sua volta chi l’ha ingiuriata? Non ci sembra affatto che a scrivere con tanta dovizia di particolari sia un “semplice cittadino e lettore”, come dice di essere.

I due medici che ritengono di essere stati diffamati da lei, tutto a un tratto “godono della stima incondizionata del popolo sovrano viaggiando col vento in poppa”. All’improvviso ha cambiato registro. In conclusione, sulle dimissioni di Dibello, guarda caso, ha “evitato di commentare” perché ha “ritenuto gli argomenti di una gravità inaudita, tale da rendere superflua qualsivoglia osservazione”.

Caro Giannoccaro, in tanti ormai credono sia chiaro chi si nasconda dietro le sue fandonie ammantate di finte verità e invettive. Se non teme confronti potrebbe metterci la faccia davvero, fugando ogni dubbio. Siamo pronti a confrontarci con lei in qualunque sede sulla verità delle nostre denunce. Un’intervista, un incontro pubblico, persino un’aula di Tribunale se lo ritenesse necessario. Sta crescendo il sospetto che il confronto non potrà mai, perché è più facile nascondersi dietro una tastiera per difendere posizioni e persone palesemente indifendibili.