La protesta con le catene e i lucchetti portata avanti da due medici baresi del 118 e di un pronto soccorso, due medici come ce ne sono tanti in ogni angolo del nostro maledetto Paese, può essere racchiusa nell’eterna guerra tra l’uomo e le parole grazie e scusa. Brevi, facili da pronunciare, ma complicatissime da tirare fuori dalla bocca, perché sono le parole che più di tutte ci mettono a nudo. Da un lato l’ammissione di un errore, in cui dentro può esserci anche pentimento e voglia di cambiare; dall’altro la sottolineatura, quasi sempre sottovoce, di quanto qualcuno abbia fatto per noi e dell’incapacità di ricambiare.

Ci sono persone capaci di affiancare alle parole piccoli gesti, apparentemente insignificanti che, in realtà, sono capaci di scuotere coscienze, evitando di farci inciampare nella rassegnazione per un torto subito. Ieri, mentre Francesca Mangiatordi rivendicava il suo diritto alla denuncia, fuori dall’Ospedale della Murgia c’era anche Angela Moramarco. Una donna di mezza età, apparentemente come chiunque altro. Minuta, taciturna, con gli occhi sereni di chi dalla vita sa di aver avuto tanto: la vita stessa.

A salvarla, tre anni fa, è stata proprio Francesca Mangiatordi, uno dei due medici incatenati, non per avere puntati su di sè i riflettori, ma per accendere la luce su un intero sistema. Un modo per avere risposte alle decine e decine di domande rimaste inascoltate negli anni. Angela era lì, perché la tempestività e la capacità di Francesca non solo le ha salvato la vita, ma le hanno evitato di trascorrere il resto della sua esistenza su una sedia a rotelle o perggio ancora in un letto.

Francesca e Angela non si scambiano gi auguri, non trascorrono le vacanze insieme, ma hanno un legame profondissimo, quello che lega per sempre un medico a chi è riuscito a salvare. Se si partisse da qui, invece che tenere a mente solo conti e tabelline, la sanità sarebbe diversa, sarebbe migliore. In tanti sarebbero più disposti persino ad accettare l’errore e la morte. Grazie ai medici e al personale sanitario che lavora con dedizione, mettendoci il cuore. In occasione della storiaccia di Giovanna ne ho incontrati tanti.

Scusa a loro e a chiunque altro viene buttato nel tritacarne della generalizzazione, l’arma di distrazione di massa per evitare di pronunciare l’altra parola, piccola ma dall’enorme significato: colpa. Le colpe esistono, ma non possono cadere su chiunque indossi un camice bianco, una divisa azzurra, verde o arancione. Cosa succederà adesso? Niente, forse tutto. Nessuno può saperlo, ma senza lottare per ciò che ci appartiene, per la nostra dignità, non potremo prendercela con nessuno. Mai, qualunque cosa accada.