A volte il mondo della lirica è curioso, si mischiano grovigli amministrativi e artistici in cui è facile cadere in trappole semantiche e ingenerare confusioni – non sempre in buona fede – soprattutto tra i non addetti ai lavori e il pubblico ingenuo e naif.

È il curioso caso di Tommaso Lagattolla e della neonata “competizione” in cui è in palio niente di meno che un “premio Oscar” della lirica. L’iniziativa è di una associazione culturale di Verona (GBOpera), che gestisce un magazine on-line. Per dare un tono più “glam” ha scomodato la parolina magica: “Oscar”. E i premi? In palio non c’è nessuna statuetta, nessuna sculturina, nemmeno un panettone o un lecca lecca.

L’unico premio è l’imperitura memoria che il web garantisce sul social network più noto: Facebook, autentico terreno di scontro in questa appassionantissima quanto serissima sfida con tanto di nomination. Il regolamento? Semplicissimo: “È sufficiente apporre un like sotto la scheda relativa allo spettacolo in cui l’artista ha lavorato e per il quale è stato nominato”. Da chi? Dai redattori dello stesso magazine on-line. E casomai non fosse chiaro: “Per ciascuna categoria sarà premiato l’artista che avrà riportato il maggior numero di consensi da parte della community di Facebook”. La pagina Facebook di Lagattolla è un tripudio di commenti: “bravissimo”, “un vero artista”, “Daje”. Ci sono anche i commenti di fidanzati, zie, compagni di gite fuoriporta: “costumi meravigliosi”, “ti vogliamo sul red carpet”, “grande” e via così.

Eccolo qui l’Oscar de noartri che, fortuna vuole, una sentenza di Corte d’Appello del Tribunale di Roma del 2013 ha sdoganato dal copyright dell’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences, l’inventrice del vero ed unico premio Oscar. Nella sentenza è stata infatti riconosciuta la cosiddetta volgarizzazione del prestigioso marchio “OSCAR”.

In sostanza, la Corte di Appello ha affermato che il marchio non gode più delle tutele delle leggi sulla registrazione dei marchi nazionale ed europea, in quanto l’utilizzo di tale nome è ormai divenuto di dominio pubblico ed è considerato un sinonimo della parola “premio”. Quindi via libera all’Oscar della porchetta di Sulmona, o all’Oscar come miglior capo condomino del rione Carrassi o Spinaceto. O il premio Oscar come migliore pulitore o pulitrice del palchetto 53 del quart’ordine a destra. Vale tutto, per tutti.

Questo premio Oscar, quindi, ha confuso molto anche la stampa, che ha ritenuto la cosa rilevante, tanto da scriverne un “occhiello” senza ironie: è roba seria. Viene premiato un conterraneo barese, Tommaso Lagattolla, il consulente per gli allestimenti che la Fondazione Petruzzelli contrattualizza periodicamente dal 2006 con i ben noti criteri di merito, trasparenza ed equità. È anche l’unico soggetto abilitato a poter svolgere il ruolo di costumista e scenografo all’interno della Fondazione (ovviamente con cachet aggiuntivi a quelli da consulente) e non ce n’è per nessun altro. Chissà quanto questa pubblicità piaccia, per esempio, al riconfermato sovrintendente o al nuovo presidente del Teatro.

È anche il redattore e Responsabile Unico del Procedimento di una delle due uniche disastrose procedure di gara per la realizzazione dei costumi di Otello. Quella che ha fatto ridere mezza Italia. Quella in cui “l’importo definitivo e le modalità di pagamento saranno concordate e condivise con l’eventuale aggiudicatario”.
Ma torniamo al “premio Oscar”. Lagattolla se l’è aggiudicato per l’opera “Il cappello di paglia di Firenze”, prodotto dalla Fondazione Petruzzelli. Non quello del 2007 e nemmeno quello del 2012, bensì quello del 2013, una delle “nuove produzioni” rientrante nel progetto “opera nuova” che, tradotta dal linguaggio dell’ex Commissario Straordinario Fuortes – l’uomo che ha lasciato disastri superiori a quelli che era stato chiamato a risanare – significa un’opera con costi “contenuti” grazie al coinvolgimento di giovani speranze del canto lirico, senza lesinare troppo su tutto il resto.

Quanto alle spese contenute, però, si potrebbe aprire una corposa parentesi, calcolato che l’opera ha inciso per quasi 245mila euro sulle casse della Fondazione. Ma andiamo avanti. Dato che alla Fondazione Petruzzelli c’è il vizietto dell’usato sicuro fatto passare per nuovo e dello scippo artistico, anche in questo caso ci sembra venga riproposto lo stile che negli ultimi due anni abbiamo imparato a riconoscere a naso.
Abbiamo dimostrato come La Sonnambula fosse una ripresa spacciata per nuovo allestimento, così com’è stato per l’Otello di Nekrosius. Abbiamo dimostrato che l’Elektra è stata spacciata come coproduzione con il lirico di Cagliari, senza che il teatro isolano ne sapesse nulla e non avesse mai avviato una coproduzione con Bari (coproduzione fasulla ancora riportata sul sito della Fondazione).

Gli amanti della lirica ne hanno le corde vocali piene dei sotterfugi e degli escamotage messi in piedi per sperperare soldi pubblici, pagando per nuovo ciò che in realtà è stato visto e rivisto. La conferma di come ci sia bisogno di un cambiamento radicale all’interno della Fondazione arriva da molti addetti ai lavori, anomini per la paura di non lavorare più. Il Cappello di paglia di Firenze per cui è stato premiato Lagattolla ha una storia molto lunga. Maria Teresa Padula scenografa di cinema e teatro, insieme al regista Alessandro Piva, all’aiuto regista Elena Barbalich e al costumista Tommaso Lagattolla, firmò le scene del Cappello di Paglia di Firenze del marzo 2007 al teatro Piccinni. E qui entra in scena lo stile Petruzzelli, quello del silenzio, dei doppi incarichi, dei privilegi, delle lobby, delle raccomandazioni, della bella vita di qualcuno a scapito di qualcun altro.

Sembra che, fatti fuori la scenografa e il regista Piva, Tommaso Lagattolla (questa volta scenografo oltre che costumista) ed Elena Barbalich (passata da aiuto regista a regista), ripropongono il Cappello di paglia di Firenze del 2007, prima all’Aslico di Brescia nel 2011 e ora per la “nuova” stagione d’opera al Petruzzelli. A sentire chi ha lavorato all’allestimento dell’opera, le scene, gli abiti e i colori ricordano tanto l’originale di otto anni fa. A guardare alcune foto e immagini prese da Facebook e Youtube le similitudini non mancano.

Sbagliare è umano, perseverare è Petruzzelli. Lo abbiamo scritto tante volte. E allora via alla ripresa della ripresa del Cappello di Paglia, secondo alcuni preso in prestito per la seconda volta a Maria Teresa Padula e ad Alessandro Piva. Noi, simbolicamente il “premio oscar” lo consegniamo a loro. A questo punto ritornano alcuni degli interrogativi di sempre: quanto costano regia, scene e costumi? Un’idea ce la siamo fatta, per deduzione, ma possiamo ovviamente sbagliare. Immaginiamo che, essendo il Cappello di paglia di Firenze una ripresa di una ripresa, sia stata prevista la metà dei compensi pagati, per esempio, in occasione della Sonnambula, che era semplicemente una ripresa. Ci sarà qualcuno che risponderà alla richiesta di trasparenza? Noi restiamo in attesa.

Chissà cosa s’inventeranno ora per dare dignità all’ennesima produzione dubbia. In occasione della Sonnambula il Commissario Fuortes rispose all’interrogazione dell’attuale assessore Angelo Tomasicchio (desaparecido dopo aver puntato molto sulla cultura nella campagna elettorale), con una serie di paradossali giustificazioni, tra cui spiccava una ridicola teoria che legittimava la definizione di “nuova produzione”: «Il lavoro con il Maestro Toccafondo (una proiezione n.d.r.) ha molto influenzato l’idea delle parrucche».

E tutti sanno che le parrucche rappresentano un aspetto fondamentale di un’opera “nuova”. I premi Oscar? A noi sembra più una sagra delle vanità.