Dopo dieci anni si è definitivamente chiusa la parentesi politica di SEL. Nichi Vendola, si ricorderà, l’aveva creata quasi artificialmente dopo aver perso un Congresso di Rifondazione. La sua “narrazione” si proiettava sul presunto futuro post ideologico, quello in cui era necessario uccidere i vecchi partiti come istanze di democrazia partecipata e sostituirli con le formazioni verticistiche e personalisti che sul modello di Forza Italia.

Adesso, la nuova legge elettorale regionale impone strategie nuove: non è possibile battere da soli la soglia dell’8%, specie dopo aver ridotto SEL a poco più di una sigla al servizio del capo supremo, o dopo aver piazzato per la vita qui e lì fedelissime e fedelissimi, meritevoli o meno.

Specie dopo aver svuotato di ogni significato l’aggettivante “di sinistra”, litigato con i sindacati anche di base, ridotto ambiente e sanità a due terribili emergenze, aver occupato ogni interstizio di potere e sotto potere, di governo e sotto governo, e aver perso le primarie.

Insomma, l’impero coloniale è costretto a ridimensionarsi, a richiamare le truppe, a concentrarle per non perdere anche l’ultima opportunità di continuare ad occupare fette importanti di controllo e manovra.

E dunque non può che fingere di allearsi con Michele Emiliano, vincitore delle primarie, renziano di ferro. Chiedendo di apparentarsi, Vendola spera che il 4 % gli basti a non scomparire dalla politica regionale. Ma sa pure che la sua sinistra delle origini, quella che gli aveva creduto, che non si sconvolgeva a dirsi comunista, quella sinistra non lo voterebbe più.

Ed eccolo pescare altrove, nella palude dei pronti a tutto. Lo aveva già fatto con un ex democristiano come Dario Stefano, che aveva schierato contro Emiliano alle primarie. Ora tenta la carta Minervini, il duro e puro allievo del mitico Don Tonino Bello, ormai fuori dal PD, che certo non gli perdona la sua sfida ad Emiliano, sempre alle primarie.

Guglielmo Minervini diventa così lo spauracchio di Vendola, la sua cambiale per consentire a Emiliano di governare la Puglia. Non sappiamo se ne sia consapevole o meno, Minervini. Di sicuro consapevole lo è Vendola, giunto alla dispersione totale di ogni patrimonio ideale e culturale, ridotto  a un autunno del potere, triste e dannoso come ogni stagione interlocutoria.

Specie dopo le grandi speranze della Primavera Pugliese. Ormai lontanissima nel passato.