La storia di Giuseppe Angiulli è diventa un caso per ciò che tutte le parti in causa, dopo anni di scarica barile, tentativi blandi, delusioni e abbandoni, sono riuscite a fare in tre mesi. Per capire fino in fondo cos’è avvenuto è fondamentale conoscere i retroscena.

Un carabiniere, preoccupato per le sorti di Giuseppe – qualcuno versava benzina e dava fuoco alla porta di casa sua, che spesso rimaneva bloccata – ci ha contattati per capire se potessimo fare qualcosa, a modo nostro, rompendo le scatole, alzando la voce. Non ci abbiamo pensato un attimo, perché un uomo che ha seri problemi non può essere lasciato a marcire in un tugurio a due passi dalla sede dell’assessorato al Welfare del Comune di Bari, con la sola compagnia dei topi.

E qui arriva il secondo protagonista della vicenda: l’assessore al Welfare Francesca Bottalico. Non si è tirata indietro, ha ammesso gli errori del passato e ha provato a trovare una soluzione che non avesse come fondamenta la burocrazia. Tra qualche giorno – nel frattempo a Giuseppe sono stati garantiti cure e un ricovero adeguati da don Franco Lanzolla della Cattedrale di Bari – l’uomo che veniva morso dai topi e viveva in un degrado terrificante, entrerà in una casa dignitosa, la stessa che ci aveva sconvolto all’inizio.

Il personale dell’Amiu prima e della Multiservizi, poi, l’hanno ripulita e sistemata, coi soldi di tutti. Sì, perché l’abbandono di Giuseppe riguardava tutti. Cartongesso, impianto elettrico, bagnetto (funzionante) con un piatto doccia, un lavvandino adeguato e qualche complemento d’arredo sobrio.

Il primo servizio sulla storia di Giuseppe ha turbato le coscienze sopite di tante persone. Nell’era del tutto e subito, il compito dell’informazione, dei giornalisti, non è più solo quello di denunciare e scappare. A quel tipo di “notizie” ci pensa la rete. È fondamente indagare, seguire una storia e arrivare al finale, lieto o drammatico che sia. Commuoversi davanti a quello che in maniera balorda in gergo si chiama “caso umano” e il giorno dopo essere altrove, non è la strada giusta.

Certo, le istituzioni non possono continuare a nascondersi dietro le storture della legge, la burocrazia e l’attribuzione delle competenze, ma neppure noi giornalisti possiamo pensare che il racconto della storia dell’indigente di turno possa pareggiare i conti con la consapevolezza di aver lanciato un sassolino, nemmeno troppo rumoroso, e di aver subito dopo nascosto la mano e la voce. Così come i cittadini non possono vivere al motto: “Tanto non mi riguarda”. Un ruolo importantissimo nella storia di Giuseppe l’hanno avuto i vicini di casa, sasperati, ma solidali.

E allora parte dei soldi vinti con il “Premio Campione” li daremo a Giuseppe. Non sono tanti, lo sappiamo, ma questa vicenda ha avuto un finale lieto proprio grazie a una catena di piccoli gesti.