I protagonisti della storia che vi raccontiamo oggi sono Antonio (il sindaco di Bari), Barbara D’Urso e il suo pubblico, a sentire i guru della comunicazione, fatto esclusivamente da gente sporcacciona e ignorante che solitamente scrive proposte di matrimonio, figure flalliche e parolacce sui muri. Scrive persino sulla Basilica di San Nicola (senza una sola telecamere che la inquadri), non solo su un muro anonino a due passi da casa del primo cittadino.

Nelle stesse ore in cui una coppia di sicari, cantanto e impugnando un kalashnikov, freddano un uomo del clan rivale in mezzo alla strada alle 9.30 di una domenica mattina, i consiglieri di Decaro imbastiscono una campagna contro gli imbrattatori. Certo, il sindaco è intervenuto sui giornali all’indomani dell’agguato, ma il clamore mediatico per le scritte sui muri ha surclassato qualunque altra priorità di una città che non riesce a crescere. Una città in cui, per convenzione, i professionisti parcheggiano come gli pare perché tanto hanno pila e amici; gli ignoranti imbrattano strade e muri e le istituzioni lasciano che a guidarli sia l’inerzia del passato.

A leggere le centinaia di commenti che la rete ha sfornato – di gente cosiddetta qualunque e cosiddetta autorevole -, si apprende che vengono usati linguaggi appropriati a seconda del messaggio del momento e il target che il primo cittadino, ora certamente meno amato rispetto a quando per molti era solo il vicesceriffo di Emiliano, vuole raggiungere. E allora se si intende parlare ai presunti sporcaccioni si interessa il “modesto” salotto della D’Urso; se bisogna dare in testa agli assenteisti si va all’Arena di Giletti; se si vuole raggiungere il cuore dei più giovani allora è meglio la rete; quando l’obiettivo è rassicurare la cosiddetta parte buona della città e fare la voce grossa contro i clan che da sempre la condizionano, allora si mettono virgolettati sui giornali.

E se il criminale non leggese il giornale, la massaia ignorante per convizione non guardasse le trasmissioni della D’Urso, il dipendente della municipalizzata non fosse sintonizzato su Rai 1 e i più giovani avessero problemi di connessione? Il problema, a nostro avviso, non è il linguaggio o il target da colpire, ma le priorità. Del resto, alla massaia – che poi si scopre meno ignorante di ciò che si crede – piace Gigi D’Alessio esattamente come piace al sindaco di Bari. Anche a “Porta a Porta”, il salotto televisivo per eccellenza, si fanno spesso operazioni di marketing, costruendo il dibattito attorno a un film mediocre, a un libro edito da… o alla fiction trasmessa sulla stessa rete in cui va in onda quello stesso salotto cosiddetto buono.

È vero, la pulizia dei muri dalle scritte è fondamentale e comporta spese non previste. Con quei soldi si potrebbero comprare giostrine per i bambini. Anche con i soldi malamente spesi per le installazioni luminose – scritte male – in piazza Umberto, per l’organizzazione di un capodanno discutibile o per rifare piste ciclabili progettate senza senso, si potrebbero comprare giostrine e fare cose indispensabili per la città.

I baresi aspettano risposte sull’emergenza abitativa, sulla scarsa sicurezza (non solo quella percepita), sul mancato utilizzo dei tanti spazi abbandonati. L’elenco potrebbe continuare, ma ci limitiamo ai primi tre argomenti tanto cari ai nostri lettori.

Alla fine, però, lasciatemi fare una considerazione personale. Ho lavorato nella più importante e sopravvalutata televisione locale; collaboro con il salotto cosiddetto “popolare” e spesso “mediocre” di Barbara D’Urso (ma credo che ormai lei ci abbia fatto il callo), sono stato ospite nei salotti cosiddetti buoni e scrivo per un quotidiano online che ha fatto della diversità del linguaggio il suo punto di forza. Ho scoperto che l’epoca dell’anello al naso, in cui giornalisti e guru della comunicazione volevano far bere al lettore-spettatore qualunque cosa, stia tramontando, grazie proprio alla diversità dei liguaggi. Ora si cambia canale più spesso (benedetto telecomando), la rete diventa sempre più autorevole (per fortuna) e i giornali li comprano in pochi (peccato).