La violenza può manifestarsi in mille modi. È il culmine di un percorso che parte dalla maleducazione e passa attraverso l’arroganza. Se non si riesce a bloccare l’escalation si arriva a dover documentare ciò di cui l’Italia intera parla da due giorni: un ragazzo di Putignano picchiato selvaggiamente, con sedie e caschi, preso a calci e pugni quando ormai era a terra in una pozza di sangue, solo perché aveva tentato di difendere un’amica panamense, venuta a Bari con lui in vacanza.

La violenza, poi, genera rassegnazione e indifferenza. Le conseguenze peggiori. Mentre la vittima veniva picchiata, i più pensavano a darsela a gambe, molti facevano in modo che il proprio sguardo fosse rivolto altrove, mentre qualcun altro addirittura assisteva. Tanto che cosa posso fare? Tanto non cambia mai niente.

Da qualche mese, stanchi di assistere a episodi meno gravi, ma altrettanto deprecabili: botte agli autisti degli autobus, bulli a scuola, automobilisti strafottenti, almeno quanto i vigili chiamati a dare l’esempio, abbiamo iniziato a prendere di petto la questione. Lo abbiamo fatto a modo nostro, generando riflessioni e dibattiti attraverso le immagini e le provocazioni.

Un esempio su tutti è quello dell’automobilista arrogante, un imprenditore barese, che ha spintonato il giornalista solo perché gli aveva chiesto di parcheggiare in maniera ortodossa. Quel video ha fatto il giro della rete, decine di migliaia di visualizzazioni. L’automobilista, al posto di chiederci scusa, ha fatto scrivere dal suo legale, minacciando di querelarci per aver leso la privacy del suo assistito se non avessimo tolto il video dalla rete. Sarebbe bastato chiedere scusa. Sarebbe bastato chiedere scusa anche ai vigili che continuavano ad anteporre la propria divisa alla scorrettezza dei comportamenti ripresi dalle telecamere.

I baresi, questa è la verità, non sono mai stati presi seriamente a sganassoni in faccia. Si fanno le ordinanze e non si fanno rispettare, oppure si vietano gli sguardi di sfida nelle piazze. Le stesse piazze in cui a qualunque ora del giorno e della notte si spaccia e si ingaggiano risse e coltellate. Se chiami i vigili urbani durante il cambio turno, puoi persino arrivare all’età della pensione, prima di vederli arrivare sul posto. Le telecamere? Non ti resta che sperare di subire violenza in una zona ripresa da telecamere funzionanti.

In queste ore il sindaco minaccia di chiudere certi locali, gli stessi ai quali finora è stato permesso di fare come gli pareva, al netto di qualche tiratina d’orecchi. Purtroppo, però, il vero problema è che nel corso degli anni non si è dato abbastanza spazio all’educazione civica. In buona parte della Svizzera – solo per fare un esempio – due volte alla settimana gruppi di scolari passano casa per casa spingendo un carrello per raccogliere la carta da differenziare dal resto dei rifiuti. Quei ragazzi non butteranno mai nella plastica gli avanzi di cozze e provolone. Da noi si fanno ordinanze per evitare che vengano buttati i rifiuti nei giorni di festa.

Chiudere i locali o invocare a squarciagola la presenza delle forze dell’ordine potrebbe essere persino più deleterio. La violenza si sposterebbe altrove. Certo, con questo non diciamo che tutto deve diventare una giungla e che non debba esserci un maggior controllo del territorio. La violenza, purtroppo, a Bari è di casa, nei gesti, nel linguaggio. Se chi ha il compito di gestire la riqualificazione culturale di una città allo sbando, avesse conosciuto il dolore – più psicologico che fisico – di un calcio dato in pubblica piazza, tra l’indifferenza generale, forse saprebbe che solo l’esempio può redimere Bari e i baresi.

Servono scelte coraggiose, come quella di evitare di consegnare 40mila euro nelle mani di un’artista che realizza qualche neon per abbellire le palme di piazza Umberto e destinarli, invece, a vere campagne di sensibilizzazione alla legalità. Anche questa è cultura.