Lacrime, dolore, paura. Emerge in tutta la sua drammaticità, davanti alla brutale rissa scoppiata tra immigrati l’altro giorno in piazza Umberto, l’atavica inadeguatezza della cosiddetta “seconda accoglienza” in terra di Bari. Prima o poi, ne siamo certi, qualcuno ci lascerà nuovamente la pelle.

Non sarà l’ennesimo e inconcludente “vertice sulla sicurezza” a evitare una tragedia già scritta da tempo. Più volanti in giro, maggiori controlli, decreti di espulsione. La risposta, come sempre, non potrà che essere affrontata seguendo gli schemi dell’ordine pubblico. Tale approccio, è stato constatato nel corso degli anni, produrrà piccoli effetti nel breve periodo ma lascerà irrisolte, ancora una volta, le grandi problematiche e inefficienze che stanno a monte.

Giardinetti spogli, panchine consumate, vagoni abbandonati, vestiti donati dalle associazioni e mense garantite dalle parrocchie. Oltre questo il nulla più assoluto. Anzi, un degrado sociale che continuerà a crescere velocemente nei prossimi tempi. Ci scapperà il morto e le strade della nostra città saranno macchiate nuovamente dal sangue. Assenza di qualificati “operatori di frontiera”, superficialità e approssimazione da parte di tutte le istituzioni. Garantiamo loro del cibo, forse; qualche paia di scarpe o una giacca vecchia. Un piatto di pasta “riscaldato” e la coscienza, così, è pulita in un baleno. Progetti sociali, aventi come destinatari i migranti, che più che includere escludono, emarginano, ghettizzano. Li costringiamo a occupare edifici pubblici abbandonati, pur di avere un “pezzo” di città sul quale poggiare il proprio sacco a pelo per trascorrere la notte. A Bari non c’è una “questione emergenziale” legata all’immigrazione.

Questa rappresentazione, invece, è la normale quotidianità degli ultimi anni. Enti locali consapevolmente assenti e moralmente complici di un percorso sociale autodistruttivo. Lo SPRAR (Servizio di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati), costituito dalla rete degli enti locali che accedono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, è ormai fallimentare e improduttivo. Sulla carta dovrebbe garantire vitto, alloggio e inserimento socio-lavorativo. Nella realtà, invece, generano solo maggiore insicurezza. Parliamo di cospicui finanziamenti pubblici, la maggior parte di provenienza comunitaria, utilizzati male e in modo irrazionale.

Si rifletta, ad esempio, sulla gestione del Cara di Bari-Palese, venti milioni di euro in quattro anni. All’interno neppure un corso di mediazione linguistica o un’agenzia interculturale per l’inserimento lavorativo. I rifugiati escono da lì e subito dopo qualcuno, purtroppo, comincia a delinquere. Non esiste un’alternativa fattibile per chi è disperato e non ha nulla da perdere. Per chi vorrebbe anche lavorare e vivere onestamente ma è vittima dell’incapacità delle istituzioni. Prostituzione da una parte e spaccio dall’altra. Un sodalizio ormai consolidato con i clan malavitosi. Manovalanza a basso costo, rischi zero.

È proprio lì, dove si annidano l’avvilimento, la depressione, la demoralizzazione, che si realizzano gli “affari” migliori. Siamo tutti responsabili, ma la politica lo è più di noi. Quei volti tumefatti e senza nome, quelle lame insanguinate che trafiggono uomini privi di un futuro, devono inorridirci.

A parlare saranno le Istituzioni, illuminate dai riflettori del momento, durante quei “tavoli tecnici” troppo blindati e poco costruttivi. A pagare, invece, saranno loro, i poveri di sempre.