Si sostiene, come affermano gli inquirenti, che il tutto sia degenerato a causa di uno “ sfottò” tra kurdi-Irakeni ed afghani. Una rissa che ha coinvolto all’incirca 250 ospiti del Cara di Bari-Palese.
Questo è l’epilogo di una drammatica situazione che si trascina da anni. Diciamocelo chiaramente, i riflettori, oggi, sono accesi perché c’è scappato il morto.

Sono mesi che denunciamo il pericoloso degrado sociale che caratterizza la vita all’interno della struttura. Attraverso il nostro giornale, ad esempio, abbiamo cercato di porre un freno all’inaccettabile situazione che vede alcuni richiedenti asilo prostituirsi pur di pagare le spese legali. Servizi igienici inadeguati, somministrazione di pasti giornalieri che a detta di alcuni ospiti “ fanno letteralmente schifo”. Assenza di un supporto socio-legale da parte dell’associazionismo di base. Eccezion fatta per il Coordinamento Antirazzista di Bari e per il Gruppo Lavoro Rifugiati che cercano, da diverso tempo e dal di fuori di aiutare i richiedenti asilo nel difficile percorso di integrazione. Se a questo si aggiunge l’attesa di mesi, in alcuni casi anche di anni, per ottenere la protezione internazionale il dramma è servito.

Tutto ciò porta, ovviamente, all’esasperazione, se non, come è successo più di una volta, a vere e proprie manifestazioni di stress e tensioni mentali. Alcuni ricorrono all’utilizzo di psicofarmaci, altri cadono nella più totale depressione. Cronaca di una morte annunciata. Le responsabilità sono chiare e così “l’industria dell’accoglienza” partorisce la sua barbarie. Il problema è prettamente politico-istituzionale. Qualcuno si è mai chiesto, ad esempio, come sia possibile che 8 persone vivano in 12 mq con bagno annesso? Condividendo lo stesso spazio con gli scarafaggi? In un prefabbricato che in estate raggiunge i 45-50 gradi?

Dimentichiamo molto spesso i drammi e le violenze che questa gente ha subìto prima di raggiungere il nostro “bel Paese”. Un sistema dell’accoglienza, quello italiano, da rivedere radicalmente. Oggi non possiamo giraci dall’altra parte e rimanere indifferenti. Tutti noi siamo chiamati in causa e nessuno può sottrarsi alle proprie responsabilità.

Qualcuno in questo momento, nel Kurdistan-Irakeno, starà piangendo il povero Haimane.  Scampato ai bombardamenti, ucciso nella democratica Europa.

05.07.13
Gianpietro Occhiofino